di Alberto Castaldini*

Singolare figura di scrittore e intellettuale quella di Geminello Alvi, economista ma soprattutto uomo di penetranti letture e originali analisi. Studioso non esclusivamente accademico, nel tempo sottratto all’attività bancaria fra Roma e Ginevra, Alvi per decenni ha osservato con attenzione uomini, personaggi e maschere del nostro tempo. Costante in tutti i suoi libri (Le seduzioni economiche di Faust, Il Secolo americano, L’anima e l’economia, per citarne alcuni) una prospettiva eccentrica e trascendente sulla storia passata e attuale. Ora, con questo volume edito da Marsilio, La necessità degli apocalittici, si cimenta in un approccio ermeneutico che si mostra altrettanto per lui congeniale: quello escatologico. E lo fa con un commento al testo dell’Apocalisse, libro tanto ri-velatore quanto enigmatico della Sacra Scrittura.

Scrive Alvi: “Quella dell’Apocalisse è realtà che sovverte tempo e spazio, altra da quella sensibile. Incarna un esperimento travolgente, e tuttavia irreale per la consueta percezione terrena, come l’ebbe nella ricerca di uno spazio non euclideo Pavel Florenskij […]” (p. 29). Florenskij è solo uno dei personaggi “apocalittici” cui Geminello Alvi dà voce nel suo testo (fra gli altri ricordiamo Pierre Teilhard de Chardin, Albert Schweitzer, Urs von Balthasar, Rudolf Steiner, Guido De Giorgio, Aurobindo, H.G. Wells, Adrienne von Speyr), e lo fa non solo con una sensibilità esegetica – ineludibile per conoscere e scandagliare la Parola – ma avvalendosi di percorsi interdisplinari, letterari, storici, artistici, ispirati financo dalla tradizione gnostica cristiana e dalla sua rinascenza fra Otto e Novecento.

Apocalisse di Enrico II, Il drago minaccia la donna, 1000-1020, Bamberga, Staatsbibliothek, ms. 140 f29 v. 20,4×29,5 cm/Wikimedia

Sintomatiche del tempo della fine sono le pulsioni dell’Occidente, le cui radici si sono alimentate di tragico nel corso della modernità. E l’Apocalisse le disvela grazie a quella Parola di salvezza di cui il creato si nutre fin da Bereshit (Ap 4,11), non dimenticando che il Leviatano di Hobbes come l’antagonismo totalitario di Stalin o Hitler nel Novecento carnefice, di quelle stesse radici sono stati humus, germoglio, habitat. Le tremolanti betulle di Birkenau (capaci di vite secolari) come i boschi attorno a Černobyl’ (realizzanti atomica fotosintesi) occultano ancora oggi inferici e crescenti intrecci vegetali. Ma l’Apocalisse custodisce nel suo annuncio tremendo la certezza di una futura beatitudine, e la lettura di questo commento nel tempo presente della pandemia, tempo di attesa e di panico, “che entra nel contorno pulsante, e fora l’anima […]”, ci conferma “che l’agire del male presuppone la paura” (p. 419). La Parola di Dio, che richiede riflessione, abbandono e intuizione (e che dalla paura istintuale invece ci libera), quell’attesa nel tempo annulla e dilata, perché mostra la nostra fragilità come la nostra creaturalità divina (Ap 10,6). Se la realtà stessa ci appare oggi apocalitticamente accelerata, messa in pericolo dall’esposizione a un virus che aggredisce i nostri corpi, cui viene sottratto il respiro e con esso la vita, Alvi ci ricorda che “si respira con l’anima” (p. 423). Per uscire dal precipizio della disperazione (e dal recinto biocratico dei governi sanitari), l’Autore ci suggerisce così di essere necessariamente apocalittici, perché l’Apocalisse “rivela uno spazio di verticalità impensabile che rimbalza vita dal cielo, e costringe a respirare dall’ognidove lo Spirito, il tutto vivificante” (p. 12; cfr. Ap 16,17). Rinnovati dalla lettura di questo sacro libro rivelatore, saremo perciò elevati nell’Amore di Dio, preservati dalla certezza dell’unica speranza che salva.

* Giornalista, professore nella Facoltà di Teologia Greco-Cattolica dell’Università Babeş-Bolyai di Cluj (Romania) e docente invitato al Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma.

Geminello Alvi, La necessità degli apocalittici

Marsilio, Venezia 2021, pp. 464, euro 30,00.

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