Dobbiamo a John Maynard Keynes, il visionario economista inglese, la titolazione delle “Conseguenze economiche”, tanto felice e suggestiva da indurre il suo Autore ad adottarla in più di un’occasione, dal 1919 al 1936.

Questa opera editoriale, in due volumi, è il corollario dei due Tomi del Trattato Italiano di Medicina d’Ambiente (2021-2022), nei quali alla Questione Ambientale è stata riservata l’ottica delle principali Discipline interessate, la Chimica delle sostanze inquinanti, la Clinica delle patologie ambiente-dipendenti, le possibili proposte in tema di Mobilità e Urbanistica delle nostre città ed infine la Normativa Giurisprudenziale che tutela le Comunità dal degrado.

Mancava un’altra variabile, l’Economia, indispensabile per le future Policies, in un mondo nel quale la globalizzazione ha condizionato produzione, economia e finanza. E anche le crisi che, in assenza di confini geografici, finiscono per creare un effetto domino universale da cui nessuna popolazione può sottrarsi.

Questo Primo Volume consta di due Parti: la prima, il complesso rapporto tra Uomo e Ambiente, quando fattori demografici e geopolitici, come migrazione o urbanizzazione incontrollata, si embricano con quelli antropici. La seconda Parte sviluppa gli aspetti cogenti dell’Economia Sanitaria, sempre più legata alle dinamiche ambientali.

La prima parte del volume principia con lo stato dell’arte demo-geo-politico ossia una ricognizione per capire le dinamiche di una delle problematiche più aperte, le migrazioni di massa continentali, in un mondo il cui invecchiamento è dettato dalle quattro “i” (inedito, incisivo, irreversibile ed anche inquinato). E da qui nasce la prima proposta di Public Policy. Sono decenni, dal primo vero esodo, quello di Vlora dall’Albania, che dai paesi in sofferenza come quelli dell’est ex-sovietico e poi da quelli arabi, squassati dalla cosidetta primavera Araba, apportatrice di squilibri geopolitici ancora insistenti, arrivano masse di rifiugiati economici, ambientali e bellici, a seconda della prevalenza di crisi nel loro Paese.

Come scrive Alfonso Giordano, professore di “Population, Environment and Sustainability”, Università LUISS di Roma, nel primo capitolo dal titolo Cambiamenti climatici, dinamiche geo-demografiche: “…la risposta globale al cambiamento climatico non può essere solo un’attenzione eccessiva alle sfide tecniche ed economiciste, senza una sufficiente considerazione dei mezzi di sussistenza e delle opportunità delle persone. Il percorso di adattamento nei decenni a venire dovrebbe essere più incentrato sulle persone, con il benessere e i diritti degli individui e delle comunità più vulnerabili considerati come una componente critica del successo, ovviamente nel rispetto dei limiti dati dalla natura.

I vantaggi dell’inclusione delle dinamiche geo-demografiche nella progettazione delle strategie di adattamento sono, dunque, molteplici. In primo luogo, le proiezioni geo-demografiche forniscono generalmente gli scenari più affidabili per quanto riguarda le dimensioni, la localizzazione e le caratteristiche della necessità di sforzi di adattamento. In secondo luogo, le questioni geografiche e demografiche sono di per sé strettamente legate allo sviluppo economico e sociale. Le interazioni tra fertilità, migrazione, distribuzione spaziale, struttura dell’età, dimensione e composizione dei nuclei familiari, costituiscono un elemento fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di adattamento. Inoltre, le dinamiche razziali, etniche e di genere influenzano la crescita economica, così come l’accesso alle reti di sicurezza sociale e ai servizi che sono parte integrante di mezzi di sussistenza disponibili nei diversi territori. In terzo luogo, alcuni aspetti delle dinamiche legate ai movimenti geografici e ai mutamenti strutturali della popolazione, come la migrazione, l’urbanizzazione e la struttura per età, sono direttamente collegati all’adattamento. Pertanto, l’analisi delle caratteristiche e degli andamenti della geografia della popolazione8 può essere un potente strumento per la programmazione dell’adattamento e per la realizzazione della capacità di adattamento..”

Quindi come si vede le attuali politiche sulla migrazione, laddove non tengano conto di questi aspetti, sono destinate a fallire. Si rende dunque necessaria una politica di ricognizione di tutti questi fattori prima di operare nel contesto europeo.

Seconda Public Policy: la povertà. Già! Povertà e indigenza dovrebbero essere in cima all’elenco delle Policies per la natura da cui derivano e per le conseguenze che nel futuro potrebbero comportare. Al contrario appaiono fenomeni sociali quasi fisiologici con i quali si deve convivere forzosamente e dei quali si minimizza la decapitazione della progressione sociale e, nei casi di povertà assoluta, l’emarginazione. Povertà non è solo sinonimo di esclusione ed emarginazione dal mondo sociale ma è uno dei parametri primari di accelerazione dello stato di malattia. Questa a sua volta non dipende solo da fattori clinici (malnutrizione, mancata prevenzione, impossibilita di una sana igiene, qualità dell’abitazione spesso carente di riscaldamento, acqua e minimi requisiti igienici) ma comporta anche il deperimento psichico, l’abbandono e la solitudine che ogni povero conosce per furto dei rapporti sociali.

Se questi sono i principi che dovrebbero ispirare ad una public Policy, andiamo a vedere quanti sono i destinatari il cui numero è determinante per sancire la gravità della questione.

Stando ai numeri, per povertà relativa o indigenza dobbiamo intendere la condizione di quei cittadini con un reddito inferiore del 60% rispetto al reddito medio disponibile nazionale.

Per povertà assoluta si intende invece una condizione di deprivazione di beni e servizi essenziali, inidonea per uno standard di vita che eviti non solo forme di esclusione sociale ma l’insorgere di patologie tali da decurtare l’aspettativa di vita. Dunque, distinguendo tra povertà incipiente o indigenza dalla povertà assoluta, la summa dei dati desunti dall’Istituto Superiore di Statistica e da Eurostat indica che In Italia, nel 2021, nel rischio indigenza sono entrati circa 15 milioni di cittadini, il 25% della popolazione, numero che tradotto in termini di nuclei segnala 3 di milioni famiglie (circa 11.1 % del totale dei nuclei familiari) mentre nella povertà assoluta e coinvolto il 10.1% della popolazione pari a 5.6 milioni di individui. Negli ultimi tempi si segnala una crescita di deficit economico di famiglie al Nord che sfiora l’8% mentre al Sud resta costantemente alta la quota del 9% dei residenti. n addizione, il Report COOP 2023 inserisce un’altra categoria. Oltre la povertà assoluta e relativa (indigenza) emerge la condizione del disagio. Categoria emergente fino a coinvolgere 27 milioni di persone così ripartite: 6 milioni sono in default dichiarato già a metà mese, 13 mln stenta a chiudere il mese senza default, la restante parte ha un saving stock inferiore a 4 mila €.

 Appare dunque inutile il rimedio caritatevole del sussidio, denominato come si voglia, se non si sradica il cancro della povertà alle sue radici con politiche di investimento pubblico sulla occupazione e sviluppo culturale del paese.

Terza Public Policy: assecondare la natura del territorio senza profanarlo.

Se questi sono gli umani che popolano e popoleranno come contenuto del mondo, come sta invecchiando il contenente? Il degrado idro-geologico, ambientale nel senso più precipuo del termine è arrestabile e non solo in Italia? Cementificazione è davvero una abbominevole prassi? Come conciliare la lotta al consumo di suolo e la contemporanea richiesta di infrastrutture per la mobilità, qual che sia la sua tipologia? E qui si torna sempre all’irrisolto quesito in tema di Questione ambientale: decrescita tout-court o progresso disarticolato dall’impiego dei fossili?

Per la sua posizione al centro del bacino del Mediterraneo, le previsioni la vedono in futuro maggiormente inficiata dagli effetti del cambiamento climatico rispetto ad altri Stati del mondo: la presenza su tre lati del mare è sia aggravante a livello di causa (la massa acquosa tende a scaldarsi più rapidamente della terraferma) che degli effetti attesi, tra cui si annovera pericolosamente per il caso italiano l’innalzamento del livello del mare con la sommersione di terre emerse. Gli effetti del cambiamento climatico assumono anche molte altre forme, esacerbate dalla conformazione geomorfologica. Infatti, la penisola italiana è caratterizzata da un percentuale molto alta di territorio collinare e montuoso, spesso con terreni argillosi affioranti, che la rendono soggetta a dissesto idrogeologico e a eventi come frane, valanghe, alluvioni, erosione dei versanti e delle coste. Ad oggi, in Italia le frane censite ammontano a circa 620.000, un conteggio che aumenta con una velocità di circa 1000 frane all’anno. A questo si associa il consumo di suolo che per assurdo non significa che aumentare la cementificazione comporti avere più superficie destinata all’abitazione. L’Italia è tra i paesi europei più coinvolti nell’eccedenza di consumo di suolo netto, come testimonia il dato di 63.3 km2 del periodo 2020-2021. Appare altresì evidente la tendenza all’urbanizzazione, (Torino 65% di suolo consumato per attività umane, Napoli 63,3%, Milano 58,3%, Padova 49,6% e Monza 49,4%, laddove la media nazionale si attesta al 7,13%). Malgrado questo, i dati Istat del 2019 indicano una riduzione media dei fabbricati adibiti ad abitazione, con un livello minimo essenziale inferiore a quello stimato dal Piano nazionale di edilizia abitativa (Piano casa), disciplinato dall’art. 11 del D.L. 112/2008 (e successivi DPCM 16 luglio 2009 e DPCM 10 luglio 2012 “Piano Nazionale Edilizia Abitativa”), Anna Richiedei, 2023. Una modalità antropica e diretta di dissesto dell’ambiente che si inscrive in quelle più complesse clima-alteranti.

Quarta Public Policy

I capitoli sulla sicurezza stradale non sono giustapposti. Hanno il preciso significato di quantizzare quanto incida anche economicamente, e non solo umanamente, l’incidente stradale oggi così frequente perché la società della flessibilità e del terziario sta abusando del trasporto stradale, minimizzando altre forme, come quelle ferroviarie (la cura del ferro si diceva…) marittime e aeree, che, se dotate di biocarburanti, farebbero la differenza in tema di cambiamento climatico e inquinamento. Il territorio per integrarsi ha bisogno di osmosi e interscambio. Ecco perché l’UE ha, sin dai tempi di Karel Van Miert, progettato la rete ferroviaria TEN-T. Tuttavia la flessibilità del lavoro, la società del terziario, l’economia del mercato unico rendono sempre più necessario l’uso dei trasporti su gomma sia di merci sia di persone. In una visione globale della valenza economica, non possiamo non occuparci della sicurezza stradale che tuttora comporta un numero di vittime tali da occupare il terzo/quarto posto della classifica delle cause di decessi.

Spendere ogni anno nella sola Italia 16 miliardi per questo problema, omni-comprensivamente valutato, rende ragione della critica per le insufficienti misure attuate e per la mancanza reiterata di educazione civica stradale, a dispetto dei notevoli sviluppi tecnologici delle vetture. Un’analisi esaustiva, nella Sezione 3, sviluppata dal Gruppo della prof.ssa Rossi, conferma che tra le variabili della sicurezza stradale, infrastrutture, qualità della vettura e fattore umano, non sempre è possibile identificare come causale un solo fattore. La concomitanza delle cause citate concorre nell’incidente con diversa attribuzione di responsabilità. Se si attuasse una maggiore attenzione all’insegnamento nelle scuole della Educazione Stradale, intesa quale complesso di regole etiche alla guida, forse il numero di crash e relativi costi, umani e sociali, potrebbe ridursi. Né finora le Autorità preposte al problema dei trasporti, pubblici e privati, hanno dimostrato particolare attenzione alla veste causale di numerose forme cliniche, incompatibili con la guida, spesso non svelate all’atto delle visite cliniche per il conferimento e rinnovo del titolo di guida e che al volante possono giocare un ruolo primario tra le cause di crash.

Quinta public policy: la sanità per tutti

Le questioni riguardano l’assistenza clinica, quella previdenziale e quella di prevenzione. In un mondo che invecchia, si urbanizza, si autoinquina, la domanda dei servizi è in tale crescita da dover far predire un’incapacità di risposta. E poiché il trend è chiaro, dove va la Medicina Clinica, in assenza di compartimenti di prossimità per le prime diagnosi e terapie? In termini di rapporto costo/ beneficio, l’evoluzione strepitosa della super-specialistica e della laboratoristica ci darà effettivi e reali vantaggi di prevenzione? Vediamo chi davvero ha bisogno di essere sostenuto quando si ammala.

La più semplice fotografia della nostra società, quella anagrafica, ci consegna una realtà siffatta: l’aspettativa di vita per gli anziani è molto più favorevole rispetto ai decenni precedenti e in classifica (84.8 anni per le donne e 80.5 anni per gli uomini) siamo secondi solo alla Svezia, con un miglioramento, sensibile e progressivo, rispetto agli anni del dopoguerra. Secondo l’OMS entro il 2050 una persona su 5 sarà over 60.

I nostri over 60 anni costituiscono il 24.5% della popolazione, ma entro il 2050 potrebbero raggiungere quota 35%. Aumenta l’indice di dipendenza senile e giovanile con un rapporto tra soggetti attivi (15-64 anni) e non (0-14 e 65 anni e più) che da circa 3/2 nel 2021 si avvicina a 1/1. A questo fa pendant il fatto che si è diventati più poveri. Su 5 milioni di prestazioni per pensioni di vecchiaia (dati INPS), il 52% gode, si fa per dire, di un reddito inferiore a 500 € ed il 78% non supera i 750 €. Dunque più anziani che rendono ragione del fatto che dopo i 65 anni mancano due fattori essenziali: il tempo che viene meno e la salute che zoppica. Per converso, i costi per gli ultrasessantacinquenni sono quadruplicati dal 2007 ad oggi. A ciò si aggiunga il fenomeno di urbanizzazione che porta il 30% degli anziani nelle città dove la qualità della vita è sempre peggiore e dove prevale l’incidenza delle patologie degenerative. 9 milioni di malati che non possono curarsi, 8 milioni che per curarsi si indebitano e in summa definitiva 37.16 miliardi di euro per prestazioni sanitarie pagate direttamente dai cittadini al di fuori del SSN.  Si sta sgretolando il welfare creato negli anni riformisti della seconda metà del pregresso secolo e le prime macerie ricadono sugli anziani e sui pensionati.

Il welfare italiano trova le sue radici nel 1968 quando fu varata la legge n. 132/1968 (cosiddetta legge Mariotti)3 sul riassetto degli Enti Ospedalieri e Assistenza Ospedaliera, fino ad allora gestiti da enti di assistenza e beneficenza, trasformandoli in enti pubblici (enti ospedalieri). La legge Mariotti fa transitare la Sanità da una concezione caritatevole e paternalistica ad un sistema di diritto secondo le più elementari regole della società civile mediante la L. 833/784 che applica gli artt. 3 e 32 della Costituzione rendendo la salute bene pubblico sociale. Ecco l’inizio del welfare all’italiana che adesso è diventato spaghetti-welfare. Una concezione politica tutta volta a parificare il diritto tra le classi sociali e rendere paritario il diritto alla cura, senza differenze di casta, ceto o censo.

In questi giorni si sviluppa la polemica sul fondo sanitario nazionale e sui cosidetti “tagli alla sanità. Polemica esasperata dalla scarsa conoscenza dei numeri.

1 Il SSN è l’acronimo del SISTEMA Sanitario nazionale,  il SERVIZIO è ormai andato in pensione con la L 502/92 e con la modifica costituzionale del Titolo V, artt. 116 e 117 della Cost. ( Legge Cost. 2/ 2003) che attribuiscono l’amministrazione, il governo e la legislazione sanitarie alle Regioni;

2 Le Regioni dedicano dal 70 all’80 % del loro PIL in sanità. Ad esempio Lombardia gode di un PIL annuale di circa 26 miliardi di cui 72 vanno destinati alla sanità. Fino agli anni novanta del XX secolo, avevamo 70 miliardi di Fondo sanitario, e pochi problemi. Oggi registriamo un fondo di 137 miliardi e dobbiamo aggiungere 37 miliardi di contributi privati ( ticket, specialistica privata, tassazioni aggiuntive etc).

3. Malgrado questo, Secondo una elaborazione della Corte dei Conti relativa al 2022, solo Lombardia, Veneto, Umbria, Marche, Campania e Calabria registrano bilanci ancora in attivo, ma 15 Regioni hanno i conti in rosso. In totale, le perdite sono aumentate negli anni passando da 800 milioni complessivi nel 2020 ad un miliardo e 470 milioni nel 2022. Ma 7 sono classificate come inadempienti nella fornitura dei LEA ( Livelli essenziali di assistenza): Campania, Molise, Provincia Autonoma di Bolzano, Sicilia, Sardegna, Calabria e Valle D’Aosta.

4 Ed ancora dalla Relazione della Procura Generale della Corte dei Conti, Inaugurazione Anno Giudiziario 13 gennaio 2020. L’efficienza della spesa sanitaria: una realtà a macchia di leopardo Dr.ssa Paola Briguori)

Scrive la Vice Procuratrice Generale Dr.ssa Paola Briguori: “…Circa La spesa sanitaria e la responsabilità erariale Cambiando angolo prospettico, in questa sede non può ignorarsi il ruolo delle Procure nella lotta contro l’illegittimo e dannoso impiego di risorse destinate al finanziamento del SSR. Sul piano della responsabilità amministrativa è possibile scorgere ipotesi di danno con diretta lesione alla spesa sanitaria e non v’è dubbio che il comportamento dei singoli soggetti in ambito sanitario possa incidere sulla corretta gestione del SSR, sino ad incidere sulla “virtuosità” della governance regionale…”

Di questo tratta il volume, che mette l’accento anche sulla piaga odontoiatrica, prevalentemente privata che costringe 7 milioni di italiani a non poter affrontare le spese private relative alla loro igiene orale. Il nostro è dunque un paese civile o solo apparentemente civilizzato?

Aldo Ferrara Editor

Le conseguenze economiche delle crisi globali”, Edizioni Agora&CO, La Spezia -Lugano, 2023

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