Un miliardo e 140 milioni: questo il numero di turisti che si sono mossi al di fuori dei confini del proprio paese nel corso del 2014.

51 milioni in più rispetto all’anno precedente.

Secondo il World Travel & Tourism Council (Wttc) il turismo internazionale oggi rappresenta il 9,5 per cento del Pil globale. Nel corso del 2014 l’industria del turismo nel mondo ha generato 266 milioni di nuovi posti di lavoro. E ora il turismo dà lavoro a una persona ogni 11 nel mondo; secondo il Wttc nel 2020 arriverà a coprire il 10 percento dei posti di lavoro.

Chi l’avrebbe mai detto? Si consideri che nel campo economico il settore primario, il più importante è l’agricoltura: da lì viene il cibo. Il secondo è l’industria: da lì vengono le costellazioni di strumenti che permettono il livello di vita: dal cucchiaio con cui mangiamo alle città in cui abitiamo.

Il turismo rientra nel settore terzo, quello che include il divertimento, nonché, ovviamente , la cultura… tutto quel che si può fare solo quando c’è già a sufficienza per mangiare, per abitare, insomma per assolvere alle necessità primarie.

La prepotente espansione del settore turistico è un indice di benessere. Basti pensare, per fare un esempio, che nel Vietnam difficilmente qualcuno sarebbe andato a fare turismo negli anni Settanta o Ottanta: la guerra e i suoi effetti sono durati a lungo. Lo stesso dicasi di tutta la regione del Medio oriente. Eppure oggi gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar si sono ridefiniti anche come mete per un turismo di iperlusso.

Forse l’aspetto più rilevante del rapporto sull’andamento del turismo è che pur nel mezzo della crisi economica globale ha continuato a crescere in questi recenti anni: al ritmo del 4 per cento all’anno. Non a caso il titolo del rapporto è “Growing through shocks” (crescere pur nel mezzo delle avversità). Una crescita maggiore “di quella registrata dal settore finanziario, da quello dei trasporti e da quello industriale”. Insomma, il settore economico che mostra in assoluto la maggiore vitalità. È un’ottima notizia. Perché turismo internazionale significa cultura, conoscenza reciproca tra i popoli, riconoscimento dell’alterità come prossimità. Per dire, se vi fosse stato uno scambio turistico di massa tra Inghilterra, Francia, Austria, Italia, Germania, Serbia e Russia il seguito di guerre che ha insanguinato l’Europa nella prima metà del ‘900 forse non sarebbe stato possibile, perché un governo non avrebbe potuto presentare al proprio popolo come nemico un paese vicino e apprezzato.

Prendendo in cosiderazione 141 paesi del mondo, il Rapporto traccia un quadro gerarchizzato secondo una serie di 14 indicatori (capacità di accoglienza, facilità per il business, pregi naturali, qualità dei trasporti, sicurezza interna, prezzi, condizioni igieniche, ecc.). L’Europa resta il primo continente per capacità di attrarre turisti: in fondo un riconoscimento del valore della civiltà che vi si è sviluppata, e delle testimonianze che ne derivano nell’organizzazione sociale, nei centri storici urbani (sono il principale attrattore turistico), nelle bellezze paesaggistiche.

La classifica vede al primo posto la Spagna: un fatto rilevante, visto che il rapporto precedente poneva la Francia al primo posto, quest’anno caduta al secondo; il terzo posto è occupato dalla Germania. Non si tratta della lista dei paesi più visitati al mondo (in questo caso la Francia sarebbe la prima con 84 milioni di visitatori, gli Stati Uniti il secondo con 74 milioni, la Spagna terza con 60 milioni), ma del complesso di qualità registrate seconodo valori oggettivi (dati statistici raccolti da diversi organismi internazionali, esempio, i prezzi) e soggettivi (le opinoini raccolte dal World Eocnomic Forum tra 15 mila uomini d’affari).

Secondo questa classifica, al quarto posto stanno gli Stati Uniti, seguiti da Regno Unito,  Svizzera, Australia e Italia all’ottavo posto, al nono il Giappone. La Cina è al 17mo posto, la Grecia al 31mo, Malta al 40mo…

Nel commentare i risultati, nel rapporto si legge: “Sia la Spagna, sia l’Italia dispongo di attrazioni turistiche rilevanti, ma la Spagna ha mostrato un più attivo impegno nel sostenere le proprie qualità, mentre l’Italia ha un approccio meno strategico”.

Si potrà dire che questi rapporti non esauriscono il complesso della realtà, che danno eccessiva importanza agli aspetti economici, e chissà quanto altro. Ma è un fatto oggettivo che un tempo l’Italia godeva di fama turistica molto migliore. Se siamo al primo posto per beni ricnosciuti dall’Unesco come “Patrimonio dell’umanità”, siamo la 20mo posto per igiene. Si potrebbe dire: niente male, su 141 paesi. Ma perché vi dev’essere una tale distanza tra ricchezza di beni culturali e condizioni igieniche? Comuqnue siamo ancora al 5o posto per numero di visitatori: peccato che stiamo scendendo, non salendo. Per il livello dei prezzi siamo al 133mo posto: insomma siamo ancora convinti che bisogna spremere ben benino gli stranieri, che venga solo chi ha parecchio da spendere. Ma sul piano della semplicità nello svolgimento degli affari siamo al 127 posto: non è detto che chi ha disponibilità economica ci guardi di buon occhio. Anche per via dell’alto livello delle tasse, ovviamente. Conclusione: c’è da recuperare terreno perduto. Per ora siamo sulla china discendente. Ma inutile fustigarci, come amiamo fare. Abbiamo ottime potenzialità, come evidenzia il rapporto, grazie soprattutto ai beni culturali di cui disponiamo. E la cultura è sempre all’avanguardia. Il problema è che il resto segua l’impulso, non che si impegni a frenare…

(LS)

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