Modi diversi per affrontare gli scandali. Lo stile di comportamento sociale non è privo di influenze sulla vita sociale. Un confronto tra come si gestiscono i momenti problematici e critici nei diversi ambiti, dello Stato della Chiesa, e dell’Italia.

Di Leonardo Servadio

 

Ecco dunque un nuovo capitoletto scandalistico, questa volta in Vaticano, che replica un po’ quanto già accaduto non molto tempo fa. Ai primi di novembre 2015 si parla di “gole profonde” che hanno fatto filtrare documenti all’opinione pubblica: Mons. Lucio Angel Vallejo Balda e Francesca Immacolata Chaouqui avrebbero passato informazioni riservate ai giornalisti Natuzzi e Fittipaldi, che le pubblicano in due volumi, “Via Crucis” e “Avarizia”. Un reato definito in una legge dello Stato Vaticano emanata nel 2013, a seguito di un altro scandalo i cui contorni sembrano assolutamente identici: nel 2012 era stato arrestato Paolo Gabriele, maggiordomo dell’allora Santo Padre, Benedetto XVI, con accusa simile, aver passato a un giornalista documenti attinenti a traffici illeciti avvenuti tramite la banca vaticana.

Così dei due personaggi caduti sotto la lente della pubblica opinione nel novembre 2015, come del maggiordomo che fu tenuto in carcere nel 2012, si dice che abbiano compiuto il gesto incriminato allo scopo di favorire l’intento del papa di ripulire alcuni ambienti curiali vaticani dai traffici non totalmente limpidi di cui a volte sono stati accusati. I papi sono diversi, l’intenzione resta, lo scandalo prosegue.

Come ha riferito il portavoce vaticano, P. Lombardi, divulgare segreti è un reato.

Senza con questo volere, né potere, aggiungere acunché a quanto emerge sulla stampa in merito allo scandalo, osserviamo che ci si trova di fronte a due ordini diversi di infrazioni: da un lato infrazioni di carattere finanziario, per por fine ai quali da alcuni anni all’interno del Vaticano ci si muove con decisione (Vallejo Balda e la Chaouqui hanno fatto parte di una Commissione di inchiesta proprio sui crimini finanziari); dall’altro lato la divulgazione di segreti di Stato.

Trattandosi di due infrazioni diverse ma tra loro collegate, la domanda è: quale sia più rilevante tra i due crimini e se, qualora si accettasse per vera la spiegazione che le soffiate alla stampa vanno a “fin di bene”, quello relativo alla pubblicazione di segreti non sia da giustificare.

Al proposito val la pena confrontare quanto accadde in Italia con Tangentopoli che, scoppiata a Milano nel 1992, mise allo scoperto la vasta trama di corruttela coinvolgente imprenditori e politici di alcuni partiti ma in particolare di quelli che per un periodo di tempo maggiore avevano gestito sino ad allora il potere in Italia, ovvero la Democrazia Cristiana (DC) e il Partito Socialista (PSI).

All’epoca era al lavoro un team speciale nella Procura milanese, dedito all’operazione “Mani Pulite”.

Insieme con i primi arresti cominciarono a comparire notizie, evidentemente filtrate da qualcuno che operava dall’interno del sistema giudiziario e investigativo, che coinvolgevano ambienti sempre più ampi e un numero crescente di persone. Ma tale era il frastuono prodotto dagli arresti, dagli scandali, dal senso di tregenda derivante dalla sensazione che tutto un sistema di corruzione stesse finalmente emergendo che nessuno sollevò il problema, se non fosse il caso di cercare e di punire anche chi faceva filtrare notizie che avrebbero dovuto restare custodite nel segreto delle indagini giudiziarie, fin tanto che non si configurasse un’accusa ufficiale e non si istruisse un pubblico processo.

La logica dello scandalo amministrato sulla scena della vorace opinione pubblica si scatenò così, in quel contesto da fine di un’epoca, senza freno alcuno, definendo una via sua propria, rotolando come valanga che cresce in forza del proprio stesso impeto.

La capacità di distinguere svanì. Tutto un sistema politico crollò. Fu la fine di quella che ancora impropriamente si chiama “prima Repubblica”, come se lo scandalo in sé avesse lo stesso valore di un atto rifondativo e il fatto che sulle ceneri di quelli che furono i partiti che avevano fatto la storia dell’Italia dal 1946 al 1992 nascessero nuove formazioni politiche, di per sé significasse l’approdo a un mondo nuovo, più bello, più giusto, più pulito, incontaminato da tangenti, fughe di capitali, denari sporchi, mafie e altre turperie.

Ed ecco che emerse Forza Italia, grande partito sfolgorante di cartelloni pubblicitari e spot televisivi, ripieno di imprenditori d’arrembaggio dal “volto nuovo”. Ed ecco dilagare la Lega con tutta la sua carica di localismo spietato, di arruffamenti e affabulazioni che sembravano voler rifondare identità nazionali più proprie e più pure, in quanto basate su circuiti etnici o topografici lontani dalle lordure.

Il “nuovo” divenne bandiera dalle giacobine virtù, mentre il “vecchio” era sbattuto sulla gogna feroce del pubblico ludibrio e sottoposto alla ghigliottina della vergogna.

E mentre molti vecchi democristiani, per quanto vincitori di quel grande contrasto storico che fu la “guerra fredda”, sgattaiolavano con la coda tra le gambe, quale fu il “nuovo” che ne emerse? Una politica gestita sulla scena massmediale da nuovi stregoni spesso dotati di tessere di vecchie consorterie di potere che operando sott’acqua sempre permangono a prescindere dai marosi che scuotono la superficie. Una scena massmediale che prende il posto degli organismi eletti nel definire il corso degli eventi secondo le ubbie e le emozioni del momento. Un succedersi di riforme presentate come medicamenti salvifici ma che alla fine salvano sempre il potere come fatto in sé e per sé, che per circa un ventennio ebbe il volto sorridente di Berlusconi; pezzi di magistratura che entrarono trionfanti nell’agone politico, di solito per scomparire senza lasciare traccia; masse osannanti ai magistrati come se questi fossero capipopolo e non pubblici ufficiali dediti alla difficile impresa di far rispettare le regole.

E poi, il cosiddetto costo della politica che continua a crescere nel proliferare di amministrazioni locali sempre più numerose e sempre più cariche di cariche onerose per l’erario pubblico; contributi pubblici agli organismi politici che si sommano alle tangenti che sembrano anch’esse moltiplicate; dilagare delle varie organizzazioni mafiose.

Tutti i vizi della cosiddetta prima Repubblica, ma più numerosi e più ampiamente diffusi sul territorio.

Dunque ci si domanda: non è che almeno una parte di quel proliferare di disastri seguito al lavacro sanguinolento di Tangentopoli sia stato conseguenza del fatto che si accettò che vi fosse una distorsione delle regole, ovvero la fuga di notizie compiuta nel nome del sostegno alla giustizia?

Quando di rinfocola il modus operandi del terrore giacobino non si possono aspettare che conseguenze simili a quel che quello sortì: caos, diffondersi della violenza (che può essere anche solo verbale nel nostro mondo civile e massmediale), bonapartismo paternalista e venato di tinte reazionarie.

Conclusione: nel nostro piccolo apprezziamo che ogni violazione delle regole sia perseguita, per evitare strascichi di guai spesso maggiori di quelli cui i “benintenzionati” divulgatori di segreti vorrebbero mettere una pezza. Si suol dire che il fine giustifichi i mezzi, attribuendo tale affermazione al Machiavelli, che peraltro mai la fece: egli semmai distinse tra il differente peso che hanno finalità e mezzi per perseguirle con l’azione politica. Ma quando si vuol praticare furbescamente tale poposizione, i mezzi finiscono per fagocitare il fine e per sostituirvisi.

Una vita sociale ordinata implica la capacità di rispettare le leggi. La lezione di Socrate al riguardo resta esemplare.

Ed è molto positivo che almeno in Vaticano ci si muova in questa direzione: almeno si potrà dire che c’è un luogo prossimo al territorio italiano dove le regole non sono intese quale strumento da sventolare con demagogico piglio solo al fine di perseguire vantaggi particulari.

 

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