In realtà Luc Montagnier non la presenta come ipotesi, ma la dà come certezza: il coronavirus del Covid-19, afferma in alcuni messaggi circolati verso la fine di aprile 2020 (v. intervista a Cnews del 18 aprile), è il risultato della manipolazione dell’RNA di un virus dei pipistrelli, in cui sarebbe stato inserito un frammento di materiale genetico del virus HIV, ipoteticamente, nel corso di una ricerca su possibili approcci terapeutici o preventivi, per contrastare le infezioni da HIV: «Non è naturale, è il risultato del lavoro professionale di biologi molecolari». L’operazione sarebbe avvenuta nei laboratori di Wuhan, dove collaborano non solo ricercatori cinesi ma anche statunitensi e di altri Paesi: quel centro di ricerca è di carattere internazionale. Per motivi non chiari il coronavirus così generato sarebbe uscito dal laboratorio per diffondersi prima in Cina e poi nel mondo.

Non è possibile verificare le affermazioni di Montagnier sulla presunta origine HIV della sequenza RNA del coronavirus e certo suona molto strano che le presenti come qualcosa di provato. Tuttavia, tra tutte le ipotesi emerse per cercare di spiegare l’epidemia del 2020, forse non è da scartare a priori.

Anzitutto perché il luogo da cui origina l’epidemia, per quel che sinora si sa, è la città sede di uno dei maggiori centri di ricerca del mondo, l’Istituto di virologia di Wuhan (WIV). Il WIV è stato costituito nel 2015 come estensione di un preesistente centro di ricerca di microbiologia, anche sulla base di finanziamenti dagli Stati Uniti e dalla Francia, vi opera l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ed è il primo laboratorio cinese col massimo livello di sicurezza per la ricerca biotecnologica (BSL 4). Si suppone pertanto che nulla possa scappare di pericoloso ma, purtroppo, si sa che errare humanum est, come sottolinea lo stesso Montagnier.

E se si facesse un elenco di occasioni in cui tecnologie di punta, pur usate con tutte le precauzioni possibili, hanno dato luogo a incidenti, probabilmente lo si troverebbe molto lungo. Tanto per fare un esempio, nello stesso periodo dell’epidemia da Covid-19 la Boeing, che oggi detiene negli Stati Uniti il monopolio della produzioni di vettori aerei civili, si è mostrata estremamente fragile proprio sul piano della sicurezza con i gravissimi incidenti che nell’ottobre 2018 e nel marzo 2019 hanno sofferto i 737 Max, causati da difetti ai quali a mesi di distanza non riescono a mettere rimedio, pur investendo molti denari e lavoro di ricerca, e pur se quella dei componenti per l’aviazione è una tecnologia pienamente matura.

Se questo coronavirus fosse il risultato non voluto della ricerca condotta in un laboratorio, è anche comprensibile che vi sia affanno per negare le affermazioni di Montagnier, visto che nel WIV sono coinvolti vari Paesi e visto che, se tali affermazioni si dimostrassero vere, questo calerebbe una pesantissima pregiudiziale sulla bioingegneria e sulla possibilità di controllo e gestione dei rischi che può comportare.

Il che riconduce a un secondo aspetto per il quale le sue affermazioni possono essere credibili. Come lui stesso nota, essendo ormai ultraottantenne e avendo ricevuto il Nobel nel 2008 è stato una delle massime autorità in materia di virologia e questo status non potrà essergli tolto anche se ha esaurito il suo percorso di ricercatore, pur se dice cose scomodissime, a differenza di altri ricercatori in piena attività, ma che proprio per essere  in carriera sono anche nella necessità di non essere emarginati dal circuito mainstream del proprio settore, con gli annessi rischi di trovarsi in difficoltà a reperire quei grant senza i quali nessuna ricerca tecnologica può progredire. D’altro canto egli ha continuato a insegnare nell’università Jiao Tong di Shanghai e quindi a disoprre di strumenti di osservazione che, pur non stando più in laboratorio, gli possono permettere di seguire da vicino quanto accade in Cina.

Beninteso, le affermazioni di Montagnier sono state smentite non solo da esponenti del WIV, ma anche da altri personaggi autorevoli, come per esempio il virologo Etienne Simon-Lorière, dell’Istituto Pasteur di Parigi (dove lo stesso Montagnier lavorava quando gli attribuirono il Nobel), che sostiene che i pezzi di sequenze molecolari da Montagnier ritenuti artificiali in realtà si trovano in natura. Se è vero quanto sostenuto da Simon-Lorière e non quanto affermato da Montagnier, si potrebbe supporre che quest’ultimo desideri solamente cercare un fazzoletto di visibilità pur essendo ormai pensionato quale ricercatore, e del resto già in passato aveva preso posizione per argomenti ritenuti inaccettabili dall’ortodossia, e si sa che siamo tutti in certa misura vanitosi… Ma c’è anche da dire che da tempo si ritiene che la bioingegneria sia in grado di intervenire con precisione sulle sequenze genetiche: forse non si può affermare recisamente, come fa Montagnier, che il virus sia manipolato, ma neppure sembra plausibile negarlo con assoluta certezza.

E poi resta la domanda: perché proprio Wuhan è l’epicentro dell’epidemia? Di pipistrelli e di mercati dove macellano animali (wet market) se ne trovano un po’ ovunque in Cina, ma solo a Wuhan c’è un laboratorio con le caratteristiche del WIV, dove compiono operazioni come quelle descritte da Montagnier.

V’è un’ulteriore angolatura da cui osservare il problema. Nel caso Montagnier abbia ragione, che significato avrebbe questo per l’umanità? Abbiamo conosciuto tanti disastri nella storia, ma tutti in certo modo compartecipati e chiaramente osservabili nelle loro origini, sul piano macroscopico. Per dire, il disastro di Chernobyl fu la conseguenza di una politica energetica rudimentale, ma fondata su una tecnologia nota e diffusa: la radioattività dispersa su vasti territori trasnazionali era riconducibile a una precisa origine. Certo non rudimentale era invece la centrale di Fukushima, ma anche lì avvenne l’imponderabile, seppure di altra natura, e con conseguenze disastrose. Qualsiasi sia il livello di tecnologia col quale si opera, v’è sempre un qualche rischio.

E poi, del WIV di Wuhan chi sa veramente qualcosa? Forse neppure chi lavora in una sua parte sa quanto avviene in un’altra ala dello stesso edificio. Per fare ricerca sul genoma non serve un apparato macroscopico come quello di una centrale nucleare.

E se già l’energia nucleare ci mette di fronte a fenomeni che, se escono dal controllo, costituiscono una minaccia per territori e popolazioni ben più ampie di quelle prossime al centro focale del problema, la ricerca in ambito biotecnologico ci mette di fronte a origini microscopiche ma con conseguenze veramente globali; dopo l’incidente di Chernobyl non si fermò l’economia di quasi tutto il mondo com’è avvenuto col Covid-19; per non dire del numero di vittime.

Dunque anche se le affermazioni di Montagnier fossero campate per aria, in ogni caso si riferiscono a un pericolo concreto: vi sono esperimenti che possono dar luogo a epidemie che sorgono come “danno collaterale”. E perché un virus, particella minuta, submicroscopica, esca da un laboratorio, basta poco: un granello che sfugge, una nanogoccia di aerosol…

Comunque lo si giri, il problema sollevato dalle affermazioni di Montagnier non trova risposte semplici. Apre piuttosto domande che è bene siano poste e discusse e non silenziate non appena l’emergenza sarà passata.

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