Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera di Francersco Leone, dottore in chimica, esperto in strategia industriale e innovazione. Mette il dito su una piaga che da tempo affligge l’Italia: la farraginosità nel rapporto tra ricerca scientifica e sviluppo tecnologico e industriale. Le risposte alle domande che pone dovrebbero essere al centro delle preoccupazioni dei leader politici in Italia. Ci fu un tempo in cui la ricerca in alcuni campi andava di pari passo con lo sviluppo: l’epoca degli Adriano Olivetti e degli Enrico Fermi. Sta alla cura del mondo politico di generare condizioni tali da consentire ancora l’emergere di personaggi di simile levatura.

Caro Direttore,

il 2020 sarà ricordato per il nostro Paese come uno dei più difficili degli ultimi 60 anni. Tuttavia, l’ottimismo della volontà, che pervade gran parte di noi, ci porta a definirlo uno degli anni più challenging della nostra recente storia. Una prova irrefutabile è data dai numerosi “appelli” dei nostri eccellenti scienziati e/o comunque operatori della Ricerca, che a volte compaiono sulle pagine dei grandi giornali. Tutti, a giusta ragione, sottolineano la straordinaria valenza strategica che la Ricerca gioca nello sviluppo di ciascun Paese ed evidenziano purtroppo come l’Italia sia una specie di fanalino di coda per gli investimenti in R&D.

Rilevano infatti che l’Italia investe solo 1,4% del PIL, rispetto al 4,9% in Israele; 4,5% in Corea del Sud; 3,3% in Svezia, 3,3% in Giappone, 3,1% in Austria, 3,0% in Danimarca, 2,8% in USA, 2,8% in Finlandia.

Non ritiene che, considerate le enormi differenze di PIL fra i vari Paesi, possa essere molto più utile e forse saggio confrontare i valori assoluti delle Spese in Ricerca? Concorda che la tabella che segue possa permettere un più adeguato confronto tra i vari Paesi?


Per esempio, Israele, prima in assoluto nel mondo per quota spese R&D/PIL, investe solo il 70% di quanto investa l’Italia. Nella nuova classifica retrocede al 13° posto, mentre l’Italia salta all’8°.

Però, Israele è da sempre definita la Start up Nation per antonomasia, tanto da spingere Naftali Bennett, uno dei più prestigiosi opinionisti del Wall Street Journal, ad affermare: “Spesso mi chiedo come un Paese delle dimensioni del New Jersey (più piccolo della Lombardia n.d.r.), con una popolazione inferiore a quella di New York City, sia diventata una potenza globale High Tech”! E aggiunge: “Nonostante le sue piccole dimensioni, Israele conta 93 società quotate al Nasdaq, più di India, Giappone e Sud Korea messe insieme.” Altro esempio può essere la vicina Svizzera che investe in R&D 85% dell’investimento italiano, eppure nel QS Universities Ranking 2020 first 1000 in the world, recentemente pubblicato, ben 3 Università Svizzere si collocano nelle prime 100 e, in particolare, il Politecnico ETH Zurich-Swiss Federal Institute of Technology è al 6° posto dopo i 4 giganti Americani e la Inglese University of Oxford. La prima Università italiana è classificata al 149° posto (Politecnico di Milano). Le Università Svizzere da decenni sono gestite da una semplice legge federale, la Technopark Academy, che ha imposto come loro missione di “aumentare la competitività dell’Economia Svizzera e generare enduring jobs” (posti di lavoro duraturi). Questa norma deriva da una fulminante domanda, che la Prof.ssa Adrienne Corboud Fumagalli, Vicepresidente per l’ÉPFL Innovation & Technology Transfer si pose alcuni anni fa: Quante Invenzioni e Idee fortemente innovative sono lasciate a raccogliere polvere sSpinoffugli scaffali universitari per non essere state messe in mani esperte di business, capaci di trasformare un ritrovato scientifico in un prodotto da lanciare sul mercato?”. A questo si aggiunge l’autorevole parere del Prof. Peretz Lavie, ex Presidente della Technion University, espresso nell’intervista rilasciata a Peter High di Forbes, che evidenzia: “senza Ricerca Scientifica non vi è alcun progresso, ma la Ricerca Scientifica, se non seguita ed integrata dalla Ricerca Applicata, è come costruire robusti plinti senza alcun edificio sopra. Un eccellente risultato tecnico–scientifico, ma nessun beneficio per la Comunità”. Un enorme spreco, che la Cultura Israeliana, fondata sul “sacro” principio: “No one Shekel has to be wasted” ha sempre detestato.

Perché, caro Direttore, il nostro mondo accademico e la nostra classe politica non riescono a imparare ed implementare le strategie di allocazione delle Risorse in modo da portare anche i nostri eccellenti centri di Ricerca a generare finalmente High Tech Spin off che possano diventare, come accade in tutti i Centri di Ricerca del Nord Europa, degli altamente remunerativi Spin out, accompagnati dalla creazione di High Tech Jobs? Come ha dimostrato il Prof. Enrico Moretti, per ogni posto di lavoro ad Alta Tecnologia, si generano automaticamente 5 posti di lavoro che non richiedono particolari abilità.

Il Presidente Barack Obama nel 2009, quando gli USA avevano raggiunto un tasso di disoccupazione oltre il 10%, a causa della grave crisi finanziaria che si era abbattuta su tutto il Globo, portò nello staff della Casa Bianca il Prof. Moretti, con il quale promosse massicciamente lo sviluppo di aziende ad alta tecnologia, tanto che al termine del suo mandato nel 2017 il tasso di disoccupazione era sceso ben sotto il 4%. Tanti Paesi Europei, con la Germania in testa, ma con l’eccezione dell’Italia, seguirono questa strategia, raggiungendo lo stesso eccellente risultato.

Francesco Leone

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