di Galliano Maria Speri

Il 14 febbraio 2018, mentre in tutti gli Stati Uniti si celebrava festosamente il giorno di San Valentino, nella cittadina di Parkland in Florida il diciannovenne Nikolas Cruz è entrato nella sua ex scuola, la Marjory Stoneman Douglas, armato di un fucile semiautomatico e ha aperto il fuoco in quattro classi del primo piano facendo 17 morti. L’ennesima strage all’interno di una scuola americana che, come tutte le precedenti, ha suscitato le stesse reazioni: i democratici hanno ribadito che bisogna fare qualcosa per il controllo delle armi, mentre i repubblicani hanno solidarizzato con le famiglie delle vittime e hanno offerto le loro commosse preghiere.

Fiori e giocattoli, spediti da tutti gli Stati Uniti, si accumulano nelle strade di Newport nei giorni successivi alla sparatoria alla locale scuola elementare. Ma neppure la morte di venti bambini piccoli ha smosso le coscienze e modificato la legge sulla libera vendita di armi.

Purtroppo, i massacri rituali, sia nelle scuole americane che in altri luoghi pubblici, hanno una cadenza regolare e si differenziano soltanto per il numero delle vittime. Non esiste una vera volontà politica di trovare soluzioni al fenomeno per il semplice fatto che la National Rifle Association (NRA), l’ente che riunisce i grandi produttori di armi, è un grande finanziatore dei politici di tutti gli schieramenti ed esercita un potere enorme sui media e sulla politica. Fino ad oggi, nessun politico che facesse campagna elettorale chiedendo un serio controllo sulla vendita delle armi potrebbe sperare di essere eletto. La NRA è così potente che dopo ogni sparatoria c’è sempre qualcuno che va in televisione e dice che i morti potrebbero essere evitati se ci fossero guardie armate di fronte a tutte le scuole e, soprattutto, se anche i docenti fossero addestrati e armati in modo da poter rispondere al fuoco di un eventuale aggressore. Una tale proposta verrebbe considerata delirante in ogni paese civile mentre negli Stati Uniti viene fatta direttamente al Presidente che annuisce gravemente e promette misure efficaci a studenti terrorizzati e a genitori che hanno perso i propri figli in modo così crudele.

Gli americani e le armi

L’atteggiamento delle famiglie americane a proposito del controllo delle armi è francamente molto difficile da capire per un europeo, visto che dopo ogni eccidio, passate le prime settimane di sgomento e dolore, tutto torna come prima, fino al massacro successivo, come in una filastrocca della morte. Non è cambiato nulla neppure dopo la strage del 12 dicembre 2012, quando il ventenne Adam Lanza, dopo aver freddato sua madre in casa, entrò nella Sandy Hook Elementary School di Newton in Connecticut e uccise 26 persone, inclusi 20 bambini dai 5 ai 7 anni. I genitori di quei bambini hanno creato delle fondazioni a loro nome per aiutare altri bambini ma non sono riusciti a cambiare il fatto che qualunque cittadino maggiorenne (anche con precedenti penali o problemi psichiatrici) possa entrare in un negozio di armi e comprare armi da guerra che sono messe liberamente in vendita. Gli Stati Uniti sono l’unica nazione al mondo dove, nel corso degli anni, sono stati uccisi centinaia di studenti con armi da fuoco a scuola. Il motivo è molto semplice: l’enorme quantità di armi in circolazione e le leggi incredibilmente permissive sulla vendita.

Il Fact Book della CIA fa un confronto tra la quantità di armi e di morti degli Stati Uniti e del Regno Unito. Nel 2014 negli USA sono morte 12.570 persone a causa di armi da fuoco, rispetto ai 30 del Regno Unito. Nel 2015 ci sono state 15 sparatorie nelle scuole e nelle università americane e nessuna nel Regno Unito.

Secondo l’Harvard Public Health’s Injury Control Research Center gli USA hanno un numero di armi enormemente superiore a tutti gli altri Paesi sviluppati. Gli abitanti degli Stati Uniti rappresentano il 4,2% della popolazione mondiale ma possiedono il 42% di tutte le armi detenute da privati nel mondo. C’è un altro dato su cui è utile riflettere. Lo Human Development Index (che fa parte dei programmi di sviluppo dell’ONU) ha stabilito una correlazione tra quantità di armi in circolazione e il numero di omicidi da armi da fuoco. La tabella che riporta il numero di omicidi da armi da fuoco su milione è francamente impressionante perché si va dall’1,4 dell’Australia al 29,7 degli Stati Uniti, che hanno alle spalle la Svizzera (dove le armi sono molto diffuse perché ci sono i riservisti dell’esercito che le hanno in casa) con 7,7. Il dato indica non solo che gli USA sono in testa alla poco invidiabile classifica, ma anche che hanno un tasso di omicidi con armi da fuoco quattro volte superiore al paese che li segue.

La crudele lobby delle armi ripete come un mantra che le vittime non sono uccise dalle armi da fuoco ma da persone che le usano male (le statistiche dimostrano però che le armi da fuoco non servono né a evitare reati né ad aumentare la sicurezza personale) e che il diritto a portare armi è garantito dal Secondo emendamento della Costituzione americana ed è quindi una questione che riguarda direttamente la democrazia. Il testo di questo emendamento recita: “Essendo una Milizia ben regolata necessaria alla sicurezza di uno Stato libero, il diritto del popolo a detenere e portare armi non sarà violato”.

La Costituzione americana venne redatta nel settembre del 1787 e ratificata l’anno successivo. Il Secondo emendamento, che garantisce il diritto di possedere e portare armi, venne introdotto il 15 dicembre 1791 e andrebbe urgentemente rivisto e aggiornato.

Un famoso caso esaminato dalla Corte Suprema nel 1939, United States v. Miller, adottò un “approccio basato sui diritti collettivi” regolamentando il commercio di fucili a canne mozze. Questo precedente ha resistito fino al 2008 quando la Corte Suprema, nel caso District of Columbia v. Heller, ha capovolto la decisione sentenziando che le leggi che limitano il possesso e la vendita di armi violano il diritto individuale stabilito dal Secondo emendamento. Tutti coloro che si strappano i capelli ogniqualvolta si tenti di introdurre un blando controllo sulla vendita di armi, e sbandierano orgogliosamente il Secondo emendamento, evitano accuratamente di ricordare che quella norma fu approvata il 15 dicembre 1791, in un contesto totalmente diverso, con una nazione appena uscita dalla guerra di indipendenza contro il colonialismo britannico, quando una milizia armata e ben addestrata aveva un senso per difendere la patria in pericolo. L’esercito degli Stati Uniti è oggi il più potente e meglio armato del mondo e non ha certo bisogno dell’aiuto dei privati cittadini.

Il movimento Never Again riaccende la speranza

La classe politica americana, che non ha mosso un dito nemmeno dopo l’uccisione di venti bambini piccoli in una scuola elementare, non ha evidentemente la capacità di incidere su questa piaga nazionale americana ed è in grado soltanto di pronunciare parole inutili e ipocrite (nonostante il fatto che anche i loro figli potrebbero finire nella lista delle prossime vittime).

Il massacro di San Valentino, però, ha smosso qualcosa non tra i politici ma tra gli studenti sopravvissuti. Un gruppetto di ragazzi della Marjory Stoneman Douglas High School ha infatti deciso di reagire non a parole ma dando vita a un movimento che è cresciuto tempestosamente fino ad assumere un rilievo nazionale. Il giorno dopo il massacro, il diciassettenne Cameron Kasky ha invitato altri studenti della scuola a casa sua per cercare di organizzare una manifestazione per il controllo delle armi. Da quell’incontro è nata l’idea di lanciare su Tweetter l’hashtag #NeverAgain, mai più, che riecheggia il sentimento che attraversò l’Europa dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale. Nel giro di pochi giorni questi studenti hanno dato vita al più potente movimento contro le armi degli ultimi decenni, riuscendo dove hanno fallito innumerevoli altri tentativi.

Il primo risultato si è avuto il 14 marzo, quando un milione di studenti ha interrotto le lezioni ed è sceso in strada per partecipare alla manifestazione nazionale contro le armi. I ragazzi di Parkland hanno poi lanciato una raccolta fondi per organizzare una grande manifestazione nazionale che mettesse le cose in chiaro una volta per tutte: i giovani, quelli che Kasky ha definito la “generazione delle stragi”, considerano la lobby delle armi come un nemico diretto che, con la scusa della “protezione personale”, ha riempito gli USA di strumenti di morte acquistabili con facilità anche da psicolabili. In poco tempo sono arrivati circa quattro milioni di dollari da più di due milioni di persone, tra cui personaggi famosi dello spettacolo come Steven Spielberg, George e Amal Clooney, la presentatrice televisiva Oprah Winfrey. L’ex sindaco di New York, Michael Bloomberg, ha donato più di un milione di dollari in borse di studio per gli organizzatori della manifestazione, mentre una società di pubbliche relazioni di Hollywood si è offerta di aiutarli gratuitamente a gestire i rapporti con la stampa.

La protesta, denominata March for our lives (Marcia per le nostre vite) si è poi concretizzata il 24 marzo, quando un milione di studenti è sceso nelle strade per chiedere la riforma delle leggi sulla vendita di armi, guidati idealmente dalle decine di migliaia di dimostranti che hanno sfilato a Washington.

Le foto degli organizzatori mostrano ragazzi come tutti gli altri, con le magliette sdrucite e i jeans strappati, i capelli lunghi o rasati, orecchini e tatuaggi, identici a qualunque altro adolescente del mondo globalizzato. Prima di loro altri giovani avevano lanciato campagne di protesta o di cambiamento, come Occupy Wall Street che intendeva colpire lo strapotere della finanza speculativa oppure Black Lives Matter, contro le innumerevoli vittime nere della violenza poliziesca. Nessuno però aveva raggiunto il grado di visibilità e influenza di Never Again.

Alcune studentesse protestano di fronte al tribunale di Jacksonville, la più popolosa città della Florida. I cartelli dicono “Difendete noi e non le armi” e “Materiale didattico: matite, quaderni, giubbetti antiproiettile, armi di difesa”.

I giovani organizzatori hanno innanzitutto dato un’impronta generazionale alla loro iniziativa e hanno limitato al minimo il numero di adulti che collabora con loro (essendo minorenni hanno bisogno di un adulto per mettere un telefono, affittare una stanza oppure pagare un assegno). Quello che sta giocando a loro favore è la loro capacità di usare alla perfezione la rete, visto che in pochi giorni i loro followers hanno superato quelli della NRA, e la capacità di guardare oltre la commozione del momento. L’idea è infatti quella di sensibilizzare i giovani facendo campagna affinché si registrino e votino alle elezioni con un programma di lungo termine. Un punto a loro favore è certamente il fatto che appartengono alla borghesia bianca e che quindi riescano a parlare direttamente al Paese, schivando le accuse di rappresentare una minoranza che difende soltanto i propri interessi. Ma la loro vera forza è il fatto che sono dei veri e propri “reduci” che hanno visto la morte in faccia, direttamente, in prima persona, non alla televisione o sugli schermi cinematografici. Sono vivi per miracolo, dopo aver visto morire i loro amici e hanno una forza e una determinazione che i loro coetanei che protestano contro tutto e contro tutti certamente non possiedono. Hanno probabilmente la forza per reagire alle lusinghe e al cinismo e potrebbero diventare il centro di aggregazione di un movimento nazionale di opposizione vera, che possa iniziare a incidere sulla politica interna e internazionale di un Paese che ha perso il filo della propria storia e del proprio ruolo globale e che tira in ballo la Costituzione non per rispettare i diritti umani di tutti ma per difendere gli interessi corporativi di pochi.

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