Il rapporto delle tre principali agenzie di intelligence statunitensi (CIA, FBI, NSA) pubblicato il giorno 6 gennaio 2016 indica che il Presidente russo Putin ha deciso di favorire la candidatura di Donald Trump sulla Clinton. Ma forse vi sono vi sono problemi ben maggiori di queste interferenze.

Che la Russia favorisse Trump non è mai stato un segreto: bastava leggere la Pravda, da sempre organo ufficiale del governo russo, e chiunque avrebbe visto che negli ultimi mesi della campagna elettorale le preferenze del Cremlino erano decisamente per Trump. E pure che vi siano tentativi di interferire negli affari interni di un altro paese è roba assai vecchia. Da sempre i mezzi di comunicazione sono usati per cercare di influire: tutte le radio nazionali dei paesi socialisti hanno sempre cercato di orientare a proprio piacimento gli ascoltatori occidentali, all’epoca della guerra fredda. E da parte occidentale s’è fatto esattamente lo stesso, con potenti stazioni radio destinate esclusivamente a raggiungere il pubblico oltre cortina.

Ma che in questi mesi recenti da parte russa si sia aggiunto qualcosa alla campagna anti establishment condotta dai social favorevoli a Trump resta tutto da dimostrare, a prescindere dalla quantità di fake news che questi possano aver diffuso.

Perché la campagna anti establishment è un’ondata da molto tempo in atto e non solo negli USA, ma in tutto il mondo, con modalità differenti. In Europa, ma anche in Russia e in Cina vi sono campagne anti establishment. Per questo in Cina il governo tenta di mettere il bavaglio a Internet e di selezionare chi possa operare entro i suoi confini, sollevando lo scandalo nel mondo occidentale che grida alla violazione della libertà di pensiero e di espressione – mentre a sua volta inevitabilmente cerca di influire sulla popolazione cinese.

Ergo, se da pare angloamericana si dimostra che i Russi hanno interferito via Internet nella campana elettorale americana, questo non può destare stupore. Anche perché se è vero che la guerra fredda è finita, è anche vero che è continuata un’altra guerra di attrito a tutto campo.

Consideriamo la situazione nel suo complesso.

Punto 1.

Scoprire a giochi fatti che vi sia ingerenza russa nella campagna americana vuol dire cercare di continuare la campagna elettorale con altri mezzi, e non fa che confermare agli occhi della pletora degli anti-establishment, che l’establishment stesso non sa digerire le proprie sconfitte. Inoltre suona un poco ridicolo, visto che Internet è nata negli USA e funziona in prevalenza tramite server americani.

Punto 2

Trump ha vinto malgrado tutti i mass media, con l’unica eccezione di Washington Times e di Fox news, si siano espressi apertamente contro di lui. E se è vero che una porzione crescente di popolazione crede più ai social che ai mass media, la responsabilità di questo va ricercata nei mass media stessi, che non sono stati capaci di dimostrarsi autorevoli agli occhi dei più. Il sentimento anti establishment è un dato di fatto, che certamente si autoalimenta per via dei social, ma evidentemente sussiste a prescindere da questi.

Punto 3

Non è un segreto che Putin cerchi di destabilizzare il mondo occidentale sfruttando le sue debolezze e che finanzi movimenti di estrema destra, a partire dalla Marine Le Pen in Francia. Ci sarebbe da stupirsi se non lo facesse.

Putin prese il potere in Russia dopo una gestione disastrosa per l’economia e la società russa operata nei primi anni ’90 da Eltsin, a sua volta consigliato da Jeffrey Sachs (illustre economista statunitense) a spalancare di punto in bianco le porte a un libero mercato che più libero non si poteva, passando da una condizione di economia totalmente diretta a una condizione di economia priva di freni in cui sono dilagate le mafie, è cresciuta la disoccupazione, lo Stato russo s’è trovato sull’orlo della bancarotta al punto da non poter pagare gli stipendi a parti cospicue dei suoi apparati, inclusi quelli militari.

Nello stesso tempo la Nato ha esteso la propria influenza nella regione che era stata sotto il dominio russo sovietico, dimenticandosi che la sua missione era di difendere il mondo libero contro la minaccia del comunismo sovietico, non di aggredire la Russia e i suoi alleati dopo che il comunismo era caduto.

In pratica, cessata la guerra fredda, sia sul piano economico, sia sul piano militare, da parte occidentale s’è deciso di continuare una campagna di carattere parabellico.

A tutto questo seguito di eventi ha reagito Putin. Dopo la grande destabilizzazione avvenuta in Russia col governo Eltsin, Putin è stato in grado di ricucire le file del paese sfibrato e lo ha fatto sostenendosi anche grazie all’apporto della Chiesa Russa ortodossa. In pratica, dalla fine degli anni ’90 in poi con la alleanza tra Putin, ovvero il vecchio apparato del KGB di cui com’è noto egli è un’espressione, e la Chiesa Ortodossa si è andata ricostruendo l’identità russa in epoca postsovietica, ma in condizioni di tensione col mondo occidentale, tensioni che sono culminate con l’embargo contro la Russia dichiarato dopo che la Crimea fu annessa al territorio russo strappandola all’Ucraina. Paese nel quale non indifferente è stata l’ingerenza occidentale in funzione anti russa.

Purtroppo il Presidente Obama, invece di seguire la via della Realpolitik, che forse il vecchio e astuto Kissinger gli avrebbe suggerito, ha preferito condursi verso la Russia come fa un vincitore con un vinto. Un atteggiamento che l’ex grande potenza russa ovviamente non poteva accettare.

Punto 4

Trump ha avuto buon gioco nel presentarsi come amico di Putin, non solo per via dei suoi cospicui investimenti in Russia, ma anche perché è ragionevole – e tale è ritenuto da molti ambienti militari statunitensi ed europei – che si formi un’alleanza internazionale anti-Daesh. Ma questa possibilità di costituire un’alleanza anti terrorismo, apertamente proposta da Putin alle Nazioni Unite nel 2015, non è stata colta dagli USA né dalla NATO. E questo a sua volta ha giocato a favore di coloro che presentano anzitutto la Clinton, e pure Obama, come sotto l’influsso del complesso militare industriale, desideroso non tanto di risolvere conflitti ma di gestirli e protrarli nel tempo.

Tutto questo costituisce lo scenario della grande tragedia che si va consumando.

Trump è riuscito a farsi passare per oppositore dell’establishment statunitense – e molti continuano a crederlo per quanto le nomine a posizioni di governo da lui compiute indichino che stia seguendo pari pari le politiche della parte peggiore dell’establishment (che non è un blocco monolitico bensì una congerie composita), cioè quella più orientata alla pirateria finanziaria le cui attività sono alla base della crisi finanziaria che dal 2007 ha sconvolto gli equilibri nel mondo creando le basi sociali per la rivolta generalizzata contro le istituzioni esistenti nel mondo occidentale.

A guardare indietro, al situazione ricorda molto quella esistente in Europa alla fine dell’800, quando alzarono il capo i nazionalismi e ne nacquero i razzismi e l’incrocio tra diversi imperialismi col passare degli anni diede vita al seguito delle due guerre mondiali.

Un’importante differenza oggi sta nel fatto che da molte parti si è riconosciuto (in queste pagine abbiamo dato conto di alcuni di questi rivolgimenti) che il “nemico” in realtà non è Putin, né lo sono le masse di richiedenti asilo. Ma è quel tipo di politica economica che consente ai circuiti bancari di operare ai margini della legge proteggendo capitali illeciti, favorendo attività speculative che “generano denaro per mezzo del denaro” sul breve periodo e che non consentono investimenti produttivi, i quali necessariamente necessitano di operazioni di medio-lungo termine.

Può Trump essere il campione che, dopo aver operato tutta la vita per speculare sulla pelle altrui nel mercato del lusso e dell’apparenza ingegnandosi di circuire la legge per massimizzare i propri profitti, ristabilisce un corretto funzionamento del mercato finanziario americano così dando luogo a un’ondata di ripensamento sulla necessità di ristrutturare il sistema bancario a livello mondiale perché sia funzionale a una ripresa economica fondata sulla collaborazione, non solo sulla competizione?

Questo sembra il nocciolo del dramma che si sta dispiegando in questi mesi.

Un miracolo o una conversione del nuovo Presidente USA sarebbero benvenuti, dato che in Europa non si manifestano spiragli nella marcia verso lo smembramento dell’unione attualmente in corso.

(7 gennaio 2017)

Di seguito, il pdf col documento diffuso dalle agenzie di sicurezza statunitensi.

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