di Leonardo Servadio

Grande opera della natura è il riciclaggio: rigenera materiali in modo virtuoso e senza effetti collaterali. Ai nostri giorni il mondo funziona purtroppo in modo diverso, e prevalentemente usa combustibili fossili in modo dannoso per l’ambiente. Brucia carbone e petrolio, che non son altro che depositi di materiale organico, piante e animali vissuti milioni di anni fa e rimasti sepolti. In particolare il petrolio, trasformato in combustibili e in materie plastiche, com’è noto è la principale fonte di inquinamento.

Ora l’imperiosa necessità di ridurre l’inquinamento e di disfarci in fretta dei rifiuti prodotti dai circa sette miliardi e mezzo di persone nel mondo, impone di trovare modi grazie ai quali anche la produzione industriale possa entrare a far parte della grande opera di “rigenerazione” che da sempre compie la natura. E la tecnologia e l’industria, che sinora hanno dato luogo a disequilibi e prodotti inquinanti, consentono anche di scegliere soluzioni diverse, in armonia con la natura stessa: pur mantenendo forti ritmi di trasformazione dei materiali e di consumo.

Il problema maggiore è quello della produzione di energia.

Come scrivono in Engineering ( “A Technological Overview of Biogas Production from Biowaste”, maggio 2017, ed. Elsevier, online) Spyridon Achinas e Gerrit Jan Willem Euverink dell’Università di Groningen (Olanda), e Vasileios Achinas dell’Unione delle Cooperative agricole di Monofatsi, Heraklion (Grecia): “L’irragionevole uso dei carburanti fossili e l’impatto dei gas serra sull’ambiente hanno portato l’attenzione della ricerca verso la produzione di energia da risorse rinnovabili e dai rifiuti… Studi recenti indicano che la digestione anerobica (DA) è un’efficace tecnologia alternativa che permette, sia la produzione di biocombustibili, sia la gestione dei rifiuti”. Il che indica come sia possibile evitare sprechi e sovraconsumi di energia, ottenendo anche maggiore efficienza nei sistemi di consumo.

Già da tempo si produce biogas, e molti impianti sono in funzione nell’Unione Europea: nel 2009 si sono prodotte 7.943 tonnellate di petrolio equivalenti (Tpe) e questa cifra è cresciuta di anno in anno sino a raggiungere le 14.120 Tpe nel 2016. La parte del leone ovviamente è della Germania (passata da 1.665 Tpe nel 2006 a 6.715 Tpe nel 2013) mentre in Italia la produzione di biogas si è attestata su 383 Tpe nel 2006 e ha raggiunto 1.815 Tpe nel 2013. Ma, sia in Germania, sia in Italia la scelta del sistema di alimentazione e delle dimensioni degli impianti si è rivelata sinora in gran parte improduttiva, se non a costo di enormi esborsi per il sostegno incentivato, che riduce l’efficienza del sistema e crea situazioni di speculazione tutt’altro che sostenibili da un punto etico e ambientale. In pratica si è utilizzata una tecnologia giusta, ma con un’impostazione sbagliata.

Un’impostazione appropriata è invece quella indicata da EngineeringGli impianti di produzione di biogas in modalità anaerobica funzionano come macroscopici stomaci e trattano, in fermentazione “a temperatura corporea” (mesofila), substrati organici che altrimenti sarebbero solo scarti, invece di trattare le cosiddette biomasse vergini appositamente coltivate.  Questi impianti utilizzano gli scarti organici derivati dal consumo di alimenti e da prodotti agricoli e dell’allevamento, che sono gli unici rifiuti di cui non possiamo fare a meno.

Vi sono poi altre categorie di rifiuti, come le materie plastiche: eminentemente artificiali, presentano strutture chimiche fortemente stabilzzate e difficilmente riciclabili. Sono rifuti derivati da prodotti progettati non per essere facilmente smaltiti a fine vita: per conseguenza non si possono usare senza causare conseguenze negative. Per esempio, il proliferare della plastica da imballo ha conseguenze gravissime per l’ambiente terrestre e marino.

Se invece si usassero solo materiali di derivazione organica (il che è totalmente possibile, anche per quelle finalità per le quali oggi si usano le materie plastiche), il trattamento degli scarti potrebbe seguire solo la via della “digestione anearobica” e questo eviterebbe ogni sorta di inquinamento. Così anche la produzione industriale e di energia sarebbe al servizio della natura e del benessere.

Non è un’utopia, già in Svizzera sono attive unità di piccola dimensione che con la digestione anearobica sono in grado di riciclare tutti gli scarti organici. Sono impianti molto efficienti, che riducono i costi di smaltimento originando energia e fertilizzanti. Sono impianti di semplice utilizzo, puliti, lindi come le baite tra le quali gioca Heidi.

Impianto a Silvaplana, St. Moritz (Svizzera).

Baudino: come le città possono divenire pulite e autosufficienti sul piano energetico

Abbiamo porto alcune domande all’ing Marco Baudino, esperto di impianti anaerobici come quelli oggi diffusi in Svizzera:

Ingegnere, ritiene che gli impianti a digestori anaerobici possano essere installati anche in Italia?

Certamente, e persino nei quartiere urbani. Infatti i digestori anaerobici sono perfettamente innocui, non producono fumi né odori, gestiscono la produzione di ogni scarto organico nel miglior modo possibile. In camere stagne di pochi metri cubici, in cicli di circa 28 giorni gli scarti si trasformano in metano da un lato e in concimi organici e naturali dall’altro. Il primo è subito disponibile per l’immissione in rete o per il consumo in situ, ovvero nello stesso quartiere dove l’impianto è allocato. I secondi sono utilizzabili negli orti urbani, oppure posono essere insacchettati e venduti per l’utilizzo in agricoltura biologica e anche biodinamica. Sostituiscono i concimi di derivazione chimica, così, tra l’altro, preservano la biodiversità e inparticolare le api, la cui funzione per l’impollinatura è fondamentale e che oggi minacciate dalla diffusione dei fitofarmaci e concimi chimici.

Questi impianti sono come piccole fabbriche, ma disinquinanti, e hanno dimensioni simili a quelli di una villetta con giardino!  Per questo possono essere collocati anche in aree urbane. Per esempio possono facilmente essere posti nelle aree ex industriali che vengono recuperate per altri usi. 

Elaborando ulteriormente i modelli oggi esistenti, questi impianti potrebbero essere sempre più piccoli, e giungere a un tale grado di miniaturizzazione da poter essere installati in un singolo edificio condominiale. Le condizioni tecnologiche già ci sono. Ma occorre ulteriore ricerca: e per questa occorrono opportuni finanziamenti.

In questo modo le città non avrebbero più bisogno di accumulare spazzatura nei depositi in periferia: rielaborerebbero al proprio interno tutti i rifiuti organici…

E che bisogna fare invece per i rifiuti non organici?

Gli altri rifiuti, soprattutto le materie plastiche, devono essere evitati alla fonte. Il che non solo è possibile, ma già l’Europa lo richiede con le sue nuove normative derivate dalla Direttiva Europea 2008/98-Waste Hierarchy. Da questi provvedimenti normativi maturati in sede europea nascerà finalmente la “carbon tax” per i rifiuti non riciclabili o complessi da riciclare.

Queste direttive europee prefigurano un’economia “circolare”, in cui gli scarti, anziché essere gettati via, sono immediatamente rimmessi in circolo e sono utilizati per fini produttivi.

Non è utopistico: si tratta di trasferire sul piano macrospopico quanto già è praticato su piccola scala. Sull’International space station (ISS) da tempo ogni sorta di rifiuto è riciclato in continuazione. Le tecnologie ci sono. Senza queste capacità di riciclaggio sarebbe impensabile compiere lunghi viaggi spaziali. E se lo si può fare su una serie di moduli tubolari lunghi sui dodici metri per un diametro di poco più di quattro, tanto più lo si potrà far entro agglomerati urbani, e nelle proprie case direttamente. Gradualmente, ci si arriverà.

L’Europa ha già messo a disposizione fondi per attivare questa nuova economia circolare (v. Horizon2020, Life+). Si tratta di rimboccarsi le maniche e di metterli a frutto: opera che richiede un cambiamento di prospettiva per uscire dalle pastoie del tran tran burocratico consolidato, che ormai marcia su un binario morto.

 

Sistema per il riciclaggio dei liquidi sull’International Space Station (ISS). (Dal sito ESA).

 

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