L’atmosfera è quella del film “Dune” di David Lynch. Costumi arzigogolati con orpelli che uniscono un gusto retrò con un’improbabile ipertecnologia a profili Led. L’ampio scenario dell’Arena di Verona presenta una pavimentazione lucidissima da cui trapelano giochi di luce mentre ai lati, sullo sfondo ondeggiano in alto due conchiglione disegnate da filamenti luminescenti a significare la contrapposizione tra Ebrei e Babilonesi. La marea di figuranti, danzatori, mimi (sono state coinvolte 400 persone dotate di un totale di 3000 costumi) è divisa in due gruppi, distinti dal colore delle iperboliche vesti: questi si fronteggiano e, nel caso qualcuno non avesse capito che sono in lotta tra loro, a volte brandiscono specie di fioretti plasticosi atteggiandosi a schermidori che avanzano e arretrano a piccoli nervosi strascicati passi.
E in fondo all’enorme (e costosissimo) apparato scenografico, proprio nel mezzo, s’inerpica una rampa luminosa che culmina con la scritta “Vanitas”, sempre nel caso qualcuno non capisse che la megalomania del regnante babilonese è la cifra della sua condanna, oppure, se si preferisce e con filosofico afflato, che le cose di questo modo sono comunque destinate a terminare.
L’edizione del Nabucco andata in scena all’Arena di Verona il 13 giugno 2025 è trasmessa in tv il 21 giugno con l’accompagnamento di un inusitato fervore didascalico apportato dall’introduzione e dall’accompagnamento a scena aperta compiuti da due navigati e noti attori i quali, a voci alterne, hanno spiegato cose che nessuno avrebbe altrimenti potuto sospettare quali: il parallelismo tra popolo ebraico oppresso e popolo italiano soggiogato dagli occupanti stranieri nel 1842 – anno in cui Verdi compose l’opera – o, irrompendo nel corso dello svolgimento dell’opera, l’imminenza del “Va’ pensiero” o di altre note arie – come se altrimenti nessuno se le sarebbe aspettate – o l’aprirsi della scena finale – come se altrimenti nessuno potesse sospettarlo.
Insomma, da un lato gli spettatori sono trattati come ignoranti di tutto quanto attiene all’opera in questione per quanto questa sia una delle più note, dall’altro gli organizzatori si prendono la libertà di squadernare pseudo futuristici apparati scenici che spostano l’attenzione, dalle vicende bibliche cui si riferisce l’opera, a un improbabile futuro distopico.
Ai produttori di questa ennesima scempiografia forse è sfuggito che l’ammonimento gridato in cima al palcoscenico, “Vanitas”, potesse riferirsi pure al modo in cui deturpavano il racconto biblico-operistico, a disdoro della peraltro più che egregia prestazione dei cantanti.
Peccato, non solo per l’evidente spreco di denaro così compiuto nella messa in scena, ma anche perché eventi di questo genere si rivolgono a un pubblico proveniente da tanti diversi paesi che proprio attraverso l’opera lirica assaporano la cultura italiana. E invece si trovano di fronte a goffe imitazioni di cose tipo “Guerre Stellari” che con la nostra cultura mediterranea han ben poco a che fare.
Libertà artistica? Sembra più che altro arroganza di chi, forse perché dubitoso delle capacità proprie, pare divertirsi nello storipiare lavori altrui che meriterebbero ben altra attenzione.
A conclusione dell’esibizione le due conchiglie si uniscono a formare una sfera: gli opposti possono attrarsi tra loro e rappacificarsi, chiudendo un cerchio narrativo introdotto nel preambolo della scenografia con l’indaffararsi di varie truppe futuribili attorno a quella che potrebbe essere un’ogiva atomica montata su un microssile. E così la political correctness, ancora una volta acclarata dai ponderosi apparati scenici, rende tutto accettabile: chi mai potrebbe criticare tanta delicata sensibilità, soprattutto oggi quando tutti auspichiamo che si rappacifichino gli scontri rinfocolati nelle martoriate terre mediorientali?
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