Piccolo corpo, il primo, splendido lungometraggio di Laura Samani, è molto diverso dalle grandi produzioni che sbancano il botteghino ma ha un tono soffuso, profondo, intensamente poetico ed evoca sentimenti ancestrali. Forse, l’aggettivo che lo qualifica meglio è “arcaico” poiché riesce a ricreare il rapporto profondo che lega gli esseri umani alla natura, mettendo al centro della propria narrazione il corpo della donna nella sua capacità riproduttiva e il coraggio di una ragazza nello sfidare le convenzioni sociali della sua epoca. La storia, un racconto corale centrato soprattutto su personaggi femminili che parlano il dialetto friulano, è collocata all’inizio del ‘900, ma ha una caratteristica di atemporalità che la proietta al di fuori della tradizionale dimensione spazio-tempo. Il film inizia con una scena in cui Agata, una giovane sposa agli ultimi mesi di gestazione, viene condotta dalle donne dell’isola in cui vive verso il mare, per una cerimonia di propiziazione. Purtroppo, la figlia che la protagonista portava in grembo nasce morta e questo getta Agata nella disperazione, non solo per il dolore lancinante della perdita, ma anche perché, non avendo mai respirato, la creatura non potrà ricevere il battesimo e quindi un nome e sarà condannata a vagare per l’eternità nel Limbo.

Agata è un ragazza semplice, che non è mai uscita dalla sua piccola isola e non sa nulla del mondo esterno. Ha però un determinazione e una forza di volontà non comuni che non le fanno accettare il fatto che quanto ha portato in grembo per nove mesi venga sepolto nella terra, senza un nome, come se non fosse mai esistito. Saputo che in una lontana località di montagna esiste un santuario dove i piccoli nati morti vengono resuscitati per un attimo solo, il tempo di ricevere il battesimo e, quindi, un nome, decide di partire da sola con la sua creatura, il piccolo corpo del titolo, in una scatola di legno. Il viaggio verso Nord assume una dimensione epica e Agata, splendidamente interpretata da Celeste Cescutti, un’attrice alla sua prima esperienza, assume le sembianza di un’eroina biblica che ha il coraggio di sfidare le convenzioni e muoversi nel pericoloso mondo dominato dagli uomini. Nel suo peregrinare ottiene l’aiuto di Lince (interpretato da Ondina Quadri), un ragazzo dallo sguardo selvaggio e penetrante, in cerca di un suo posto nel mondo che spera di essere ripagato con il contenuto della scatola.

Dopo aver attraversato la galleria di una miniera, un percorso oscuro e pericoloso che consente però di guadagnare due giorni di tempo, Agata è allo stremo delle forze e crolla, anche a causa di una emorragia post parto che la colpisce. Soccorsa da alcune donne della locale comunità, viene lavata e rifocillata. La regista ci mostra, come se fosse un rituale sacro, le mani delle donne che ripuliscono dal sangue il corpo di Agata, una nudità monumentale che non ha nulla di erotico ma ne esalta il ruolo riproduttivo, come se fosse quello della Magna Mater che ha generato l’intera umanità. Alla fine, sarà Lince, che è in realtà una ragazza cacciata di casa che si muove in abiti maschili, a portare la scatola con la piccola morta al santuario. Qui si compie il miracolo e la neonata aprirà per un breve, bellissimo momento gli occhi e tirerà un piccolissimo sospiro, che le consentirà di essere battezzata col nome di Mar, mare, segno di profondità e libertà. Viene così chiuso il ciclo della vita.

Piccolo corpo
Regia: Laura Samani
Sceneggiatura: Laura Samani, Marco Borromei, Elisa Dondi
Fotografia: Mitja Licen
Nelle sale dal 22 febbraio 2022

Galliano Maria Speri

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