Quando si parla di edilizia pubblica si pensa, irrimediabilmente, a palazzi tutti uguali, realizzati con materiali di scarsa qualità. Interi quartieri aventi queste caratteristiche sono stati costruiti, nel secondo dopoguerra, e immutati, arrivati fino ai giorni nostri.

Abitualmente si parla di agglomerati nati per i motivi più diversi: la vicinanza di una fabbrica, che richiedeva un grande numero di case per gli operai che vi sarebbero andati a lavorare, oppure la vicinanza di una grande città alla periferia nella quale sorgevano, o sorgono ancora oggi. Un tempo erano le classi più povere a vivere all’interno di questi edifici che da un lato avevano lo svantaggio di non essere né architettonicamente validi, né ben mantenuti, dall’altro il vantaggio di essere estremamente economici.

Il fenomeno architettonico e urbanistico legato all’edilizia pubblica si è sviluppato, in maniera piuttosto rilevante, all’interno delle città Italiane. Sin dalla fine degli anni ’30 sono iniziati a sorgere i primi quartieri popolari a ridosso della costa per far sì che potessero ospitare i pescatori. Con il passare  del tempo sorgono anche i primi Istituti Nazionali che monitorano, finanziano e assistono la costruzione e la successiva assegnazione degli alloggi pubblici. Nella città continua, dagli anni ‘30 in poi, con una prima grande fase, la costruzione legata all’edilizia pubblica che si arresterà, poi, intorno agli anni ‘80.  La manutenzione di tali edifici è stata da sempre, e lo è ancora oggi, un vero e proprio problema. Spesso ci si trova davanti ad edifici degradati sia dal punto di vista architettonico che dal punto di vista sociale. Architettonicamente la cura è stata abbandonata e, essendo terminato il loro ciclo di vita, il decadimento è evidente.

Numerosi sono i bandi per la riqualificazione delle periferie che sono stati promossi sul territorio; ma non viene mai fatta una distinzione sulla scala di rigenerazione sulla quale bisogna intervenire. I livelli sui quali si può operare all’interno della rigenerazione di un quartiere sono tre:

  • Sociale
  • Urbanistica
  • Residenziale

I primi due ambiti sono protagonisti di innumerevoli progetti, basti pensare all’ultimo bando pubblicato dalla Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane del MIBACT  che riguardava una rigenerazione urbana condivisa delle periferie, intesa come territori che vivono realtà di fragilità sociale, economica e ambientale.

L’ ultimo ambito, quello Residenziale riguarda una riqualifica che si occupi dell’aspetto energetico, morfologico (assetto interno dell’unità abitativa) e strutturale.

Si tratta di strutture edificate attorno agli anni ’50, con fondazioni composte da plinti a sostegno di pilastri di spina e travi rovesce a seguire le murature perimetrali. Questo tipo di fondazioni a elementi isolati non è più considerato a norma secondo le NTC 2008, poiché non garantisce un piano d’ appoggio rigido per l’ edificio.

I muri perimetrali portanti sono in forati semipieni e sono privi di strati isolanti o intercapedini. Da un punto di vista energetico la maggior parte degli alloggi sono in classe “G”. Tra le tecniche più diffuse per ristrutturazione di questi edifici, vi è quella di applicare una struttura dissipativa connessa all’esistente che ha il compito di assorbire la forza sismica che la colpirebbe qualora si verificasse un terremoto. All’aspetto ingegneristico è integrato quello architettonico: l’ elemento aggiunto diventa parte integrante dell’edificio caratterizzandone il prospetto.

In Europa ci sono molti esempi che riguardano questa tipologie di interventi, uno dei primi esempi riguarda la torre Bois Le Petre a Parigi.

Le facciate esistenti avevano finestre molto piccole che sono state rimosse e sostituite da grandi aperture trasparenti. Definito da Le Moniteur un “brillante esempio di innovazione”, il progetto degli architetti Frédéric Druot, Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal ha completamente trasformato la torre a blocco per abitazioni.

La superficie degli appartamenti è stata incrementata con nuovi spazi: balconi, giardini d’inverno e ampliamenti interni per un guadagno di superficie che va dai 20 ai 60 m2 per alloggio.

A cambiare totalmente sono le condizioni di abitabilità sono le facciate esterne. Con la nuova struttura dissipativa che vi è stata aggiunta, la superficie totale dell’edificio passa da 8900 a 12460 m2 e ciascun alloggio migliora la sua conformazione adattandola ai bisogni variabili delle famiglie. L’esito finale è dunque la creazione di nuove tipologie di alloggio: dalle 3 tipologie disponibili all’origine, si passa a 7, organizzate in maniera diversa per 16 configurazioni differenti.

Alle facciate esistenti, interamente conservate ad esclusione delle finestre e dei davanzali, sono affiancati dei moduli prefabbricati, costituiti da un balcone ed un giardino d’inverno. Ciascun elemento ha la profondità di 3 metri (1 metro è la profondità del balcone e 2 metri quella del giardino) e, oltre a svilupparsi lungo la larghezza dell’intera facciata, esso è a tutta altezza, in modo da apportare agli spazi interni la massima quantità di luce. La presenza dei giardini d’inverno permette un abbattimento del 50% dei consumi energetici.

Se in Europa questa tecnica di riqualifica, che permette di intervenire senza demolire, è ormai collaudata, in Italia si continua a pensare di abbattere e costruire. È forse inutile citare il caso della Torre Tintoretto di Brescia.

Questa torre di 15 piani, con 195 appartamenti e 500 abitanti al suo interno, è al centro di un dibattito che va avanti dal 2013 : riqualificare l’ intera struttura o demolirla per poi ricostruire 279 alloggi in classe A con verde e alloggi da affittare… un’ investimento che sarebbe finanziato dal Fondo Immobiliare della Lombardia alla modica cifra di 29 milioni di Euro.

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