È stata una festa. Non solo perché per un cristiano la dipartita, lungi dall’essere una fine, segna il ritorno alla casa del Padre, ma anche perché con quel suo ultimo atto terreno, il proprio funerale, papa Francesco ha regalato a tanti un giorno di pace e di riconciliazione. E pace e riconciliazione sono stati due dei principali obiettivi che ha seguito nel corso dei suoi dodici anni di servizio quale successore di Pietro.
È stata una bella giornata primaverile. Le persone in centinaia di migliaia si sono raccolte ordinatamente in Piazza San Pietro, nelle sue vicinanze e lungo il percorso che avrebbe seguito il corteo verso la sepoltura nella basilica di Santa Maria Maggiore. I prelati, i religiosi, le tante autorità civili giunte da ogni parte del mondo, erano ben disposte attorno all’altare – di fronte al quale la spoglia semplicità del feretro ben ricordava la figura del primo papa che ha voluto chiamarsi come il poverello di Assisi.
Un clima di riconciliazione
Gli atteggiamenti dei vari capi di governo, a partire da quello del presidente Trump, sono stati diversi dall’usuale: erano ospiti di un evento che li sovrastava, e lo sapevano. Davanti a telecamere che trasmettevano in diretta in tutto il mondo, perché la Chiesa è universale, ed è l’unica a esserlo: non lo è alcun’altra istituzione religiosa, sia in ambito cristiano sia di altra appartenenza, tutte legate come sono a qualche specifico territorio, popolazione o potere civile.
Se da anni la guerra in Ucraina campeggia quale punta dell’iceberg dell’aggressività che ovunque cova col suo corredo di risentimento, volontà di prevaricazione, arroganza, disprezzo per l’altro, ecco che in San Pietro alcuni tra i più importanti attori a vario titolo coinvolti – dallo stesso Trump a Zelensky, da Macron a Starmer – si sono parlati con toni dettati dalla circostanza: con rispetto, moderazione, affabilità che in questi ultimi anni erano stati ostracizzati in tanti incontri ufficiali internazionali. (Peccato mancasse uno come Putin che, fosse vero quanto ha presentato con la sua propaganda da quando ha invaso l’Ucraina, dovrebbe essere primariamente interessato a favorire quel dialogo).
Se in Europa da tempo molti coltivano l’illusione che la civiltà di questo continente sia estranea alla tradizione cristiana o, quanto meno, che tale tradizione sia soltanto una delle tante che con identica importanza vi interagiscono, ecco che la von der Leyden, che dell’Unione è il principale esponente, appare con presenza sommessa, quasi fugace a fronte della magnificenza dell’aura di globalità che si respira nella Roma della Chiesa. Che proprio in questo si ripresenta con forza come il vero cuore della nostra civiltà.
Molteplici ricordi
E comunque, su tutto e su tutti, aleggia il ricordo di quanto ha detto e fatto papa Francesco. Lodato o criticato da ciascuno secondo il proprio punto di vista. Il mondo della “sinistra” lo loda per la sua scelta a favore delle periferie del mondo e dei poveri, dei migranti, dei reietti – come se questo non fosse un messaggio evangelico fondamentale che la Chiesa ha sempre trasmesso nei secoli, non solo oggi. I circoli del “conservatorismo” cattolico invece criticano Francesco come uno che ha fatto della Chiesa una specie di ONG, dimenticando che il primo a muoversi in quella direzione è stato il fondatore, che non s’è fatto scrupolo di soccorrere storpi e ciechi, di reperire cibo per le masse affamate, mettere in salvo prostitute, accompagnarsi a reprobe e divorziate, e persino di distribuire vino di alta qualità in ricchi banchetti.
In genere si dà per scontato che papa Francesco fosse un “progressista”, sebbene quando era vescovo in Argentina fosse considerato un conservatore, e c’è chi lo accusa di aver svenduto l’eredità di Benedetto XVI causando una riduzione nel numero dei fedeli. Le statistiche dicono però che il numero di cattolici nel mondo continua a crescere.
Senza peli sulla lingua
Noi qui lo ricordiamo anche perché con quella sua caratteristica spontaneità – che ha attirato a sua volta tante critiche da parte di parrucconi (parruccone) di ogni indole, sempre convinti (convinte) di possedere la verità tutta – ha detto sempre quello che considerava vero pur se poteva essere frainteso.
Numerosi esempi si possono citare.
Dopo il massacro nella sede di Charlie Ebdo a Parigi nel 2015, ha bensì condannato i terroristi islamici assassini, ma ha anche avvertito che se uno non si perita di offendere la madre di un altro (con riferimento ai disgustosi fumetti anti-islam pubblicati dalla rivista satirica francese) non può non aspettarsi una qualche reazione. Quella era semplicemente la constatazione che per ottenere rispetto bisogna pure portare rispetto, ma a molti apparve come una resa di fronte alla violenza islamica. Il problema è che quei molti non fanno che coltivare il proprio punto di vista, desiderano imporlo a tutti e in questo rigettano l’idea che ciascuno abbia ragioni proprie che vanno tenute in conto, se si cerca il dialogo e non lo scontro.
Di fronte all’invasione russa in Ucraina ha sempre cercato di recuperare occasioni di intesa, inviando diplomatici e attuando gesti concreti quale quello della Pasqua del 2022 in cui ha favorito la partecipazione congiunta di una donna russa e una ucraina alla via crucis. I russofili lo hanno subito arruolato tra le proprie file, quasi che per essere favorevole alla pace fosse d’accordo con la spartizione dell’Ucraina. I russofobi lo hanno bersagliato coi propri strali accusandolo di cedere al dittatore moscovita. Ma quando il patriarca Kirill ha benedetto l’invasione russa come una “guerra santa”, Fracesco con felice espressione l’ha bollato come “chierichetto di Putin”.
Di fronte ai traffici loschi internazionali ha sempre difeso i migranti, vittime di angherie di ogni sorta, mentre ha condannato con forza le mafie giungendo a scomunicare gli ‘ndranghetisti: così ha affermato quel fondamentale criterio di giustizia che invece l’affanno della propaganda politica dimentica, poiché cerca di capitalizzare sui consensi dell’una o dell’altra parte.
Sul problema dell’aborto ha mantenuto fermi i principi sempre sostenuti dalla Chiesa: difendere la vita del più debole, di chi non ha voce né arma alcuna per la propria difesa, qual è la vita nascente: è giunto a dare dei “sicari” ai medici che praticano l’aborto. Il che non è altro che una definizione semanticamente corretta: sicario è chi uccide per conto terzi. La questione è assai complessa e controversa: quando si può dire che comincia la vita umana, quando l’embrione diviene feto? Ma poiché il punto di vista della Chiesa è che il concepito è persona vivente, è coerente che chi lo elimina sia considerato un assassino. Chi non è d’accordo con la definizione di Francesco dovrebbe convincere la Chiesa che fino a un certo momento dal concepimento l’embrione non abbia nulla a che fare con un essere umano vivente (il problema: sino a quando? Sino alla mezzanotte dell’ultimo giorno del terzo mese dal concepimento e un secondo dopo le cose cambiano, come afferma la legge in Italia? E se fosse invece che due secondi prima già non fosse più embrione ma fosse già feto?). Sinora nessuno c’è riuscito.
Tante controversie ha generato papa Francesco: testimoniano la sua grande vivacità e il desiderio di non tirarsi indietro di fronte alle difficoltà.
Nel nome della speranza
Il suo funerale è stato vivace quanto nessun altro funerale dei papi di questi ultimi decenni. Presso il suo feretro non si sono accapigliati coloro che si sono sentiti a lui più vicini con quelli da lui più lontani. Tutti hanno riconosciuto in Francesco un uomo votato alla ricerca della pace fondata sulla base dei principi intramontabili del cristianesimo, i quali difendono la sacralità della vita e l’ostinazione nella speranza della salvezza e della conversione dei cuori alla logica dell’amore per il prossimo.
Chi ha stretto mani al suo funerale non avrà mancato di rendersi conto di questo fatto. Il problema sarà di coltivare quel messaggio di pace senza compromessi sui principi, come anche senza desideri di prevaricazione. Non è facile farlo quando si è immersi nelle tensioni dei contrapposti egoismi. Ma nel ricordo del sorriso pacificatore che hanno portato su questa terra tanti testimoni del vangelo, la virtù della speranza non potrà che crescere. E tanto più lo farà sulle ali di questo giubileo del 2025, l’ultimo indetto da papa Francesco, il suo ultimo lascito ereditario.
Anche per questo il suo funerale è stata una festa: una pietra miliare lungo il cammino della speranza.
Pubblicazione gratuita di libera circolazione. Gli Autori non sono soggetti a compensi per le loro opere. Se per errore qualche testo o immagine fosse pubblicato in via inappropriata chiediamo agli Autori di segnalarci il fatto e provvederemo alla sua cancellazione dal sito