Il problema diviene evidente nella nostra società globalizzata e perennemente connessa. Dove si scopre che la comunicazione prescinde dagli strumenti e ha a che fare con le intenzioni, la capacità, la volontà e l’organizzazione. Oltre che con l’identità e la cultura delle persone. A proposito di un articolo pubblicato su Time, n. 24, 2014.

Di Leonardo Servadio

In principio era il Verbo… Non sfugga che uno dei significati impliciti nell’incipit del Vangelo di Giovanni è che la comunicazione – il “mettere in comune”, il “fare comunione” – è alla base dell’atto creativo. Oggi, nella società della comunicazione globale, questo dovrebbe portare a un maggiore riconoscimento e a una più attenta valutazione delle potenzialità insite in tale fatto. E a una più approfondita considerazione di che cosa consegue a una falsa interpretazione dell’atto del comunicare. In una recente analisi pubblicata dalla rivista Time a firma dell’economista Rana Foroohar si denuncia questo: l’azione di governo, sia delle grandi corporation, sia degli apparati statali, in assenza di adeguata comunicazione porta alla deresponsabilizzazione delle persone e ne seguono errori le cui conseguenze possono essere gravissime. Alcuni esempi. Uno studio compiuto da Ranjay Gulati, della Harvard Business School, dimostra che eventi come l’attentato terroristico dell’11 settembre 2001, che è stato un fondamentale motore dei conflitti sviluppatisi nel XXI secolo, “avrebbero potuto essere evitati se le informazioni fossero state condivise dai diversi livelli organizzativi” degli apparati preposti alla sicurezza della nazione. L’indagine compiuta da un magistrato sulla struttura direttiva della General Motors, a seguito di una serie di incidenti causati da difetti meccanici di alcune automobili, ha dimostrato che i diversi dipartimenti preposti alla progettazione non avevano contatti tra loro: “gli ingegneri che analizzavano i rapporti sui malfunzionamenti meccanici non sapevano che altri ingegneri progettavano air bag che non entravano in funzione a motore spento”. Conseguenza: diversi incidenti mortali. La Foroohar riferisce: “Una ricerca McKinsey mostra che le aziende più globalizzate… abbondano di compartimenti stagni”. Nel “compartimento stagno” ognuno porta avanti il proprio compito in modo limitato e non si sente responsabile per il risultato complessivo: la banalità della peggior burocrazia. Ma così funzionano di solito le strutture gerarchizzate, da quelle amministrative a quelle militari a quelle paramilitari come quelle terroristiche: le persone sono chiamate ad agire secondo istruzioni limitate e non si chiede loro di sapere altro. Sono chiamate a essere strumenti di un’azione compiuta dalla “macchina” di cui fanno parte. Essendo ridotti a “uomini a una dimensione”, come anni addietro denunciò Marcouse, perdono il senso dell’essere umano quale responsabile dei propri fratelli uomini.
Ora la società globalizzata, la società della comunicazione totale, si scopre afflitta dal problema dei compartimenti stagni che portano l’individuo, nelle piccole cose quotidiane che peraltro possono avere conseguenze generali, a isolarsi dall’umanità che lo circonda. Ma quando si vuole sostenere la democrazia, non si può dimenticare che il pilastro su cui questa si fonda è la comune consapevolezza, e questa non può darsi in assenza di un’adeguata comunicazione, che vuol dire anzitutto condivisione. Questa è facile là dove si è capaci di riconoscersi figli di un unico Padre, difficile, se non impossibile, là dove ognuno pensa solo per sé, ignorando l’altro. È forse questa la più chiara dimostrazione che la “mano invisibile del mercato” (ognuno cerchi il vantaggio proprio e magicamente la somma degli egoismi darà un vantaggio per tutti), dal tempo di Adam Smith ritenuta la panacea dei mali sociali, in realtà non funziona. Perché porta a dimenticare che in principio era il verbo. E senza Verbo nulla si fa di buono in questo mondo. (LS)

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