di Galliano Maria Speri

A proposito del libro di Corrado Formigli Il falso nemico – Perché non sconfiggiamo il califfato nero.

Un libro che nasce dall’unione di una ricerca sul campo, con diversi viaggi nelle aree più calde del Medio Oriente, e lo studio attento di vari analisti che hanno tentato di rispondere alla stessa domanda: come è stato possibile che, quasi dal nulla, i terroristi islamici siano riusciti a costruire uno Stato grande come l’Italia e coordinare da lì attentati in tutto il mondo. La risposta, purtroppo, è drammatica. Senza la sostanziale inerzia e complicità dell’Occidente, che ha finto di non vedere le responsabilità di Arabia Saudita, Turchia e Qatar, non sarebbe potuto nascere uno Stato Islamico, con tutta la terribile scia di sangue che questo ha comportato. Formigli, noto giornalista televisivo, ha evitato i toni sensazionalistici che una materia tanto incandescente avrebbe potuto stimolare. Il libro è percorso da un afflato di passione civile e dal grande impegno per capire una ragnatela intricatissima dove quasi nulla è come appare. Il gruppo di tagliagole fanatici che ha cambiato le nostre vite nasce a Camp Bucca, un campo di detenzione gestito dagli americani dove, dopo il 2003, sono stati riuniti terroristi, insorti, fondamentalisti e delinquenti comuni. È qui che si saldano i legami tra i vari gruppi terroristici e ciò che rimane della struttura militare e spionistica dello sconfitto regime iracheno, mettendo così insieme, sotto l’occhio distratto degli Stati Uniti, il fanatismo radicale islamico e le capacità strategiche del partito laico Baath. Si incontrano in questo modo Abu Bakr al Baghdadi e Haji Bakr, ex colonnello dei servizi segreti iracheni, che mettono a punto un piano per prendersi l’Irak e costruire il califfato. Naturalmente, il piano sarebbe stato totalmente velleitario se Paul Bremer, il governatore statunitense dell’Irak, non avesse smantellato pezzo per pezzo l’esercito e le strutture dello Stato, creando una situazione di anarchia e alimentando una rivalsa feroce contro l’occidente. È terribile riconoscerlo, ma l’alleanza tra Bin Laden e Saddam, evocata dai dossier anglo-americani per giustificare l’invasione del Paese, si è materializzata paradossalmente dopo la guerra, proprio a causa dell’incompetente politica degli Stati Uniti.

È noto che la principale opposizione allo Stato islamico (Is) sul terreno è rappresentata dalle milizie curde che, nonostante il loro ruolo cruciale, hanno ricevuto armamenti vecchi e inadeguati a fronteggiare i modernissimi mezzi, forniti all’esercito iracheno dagli americani, su cui il califfato ha messo subito le mani, con la complicità dei sunniti iracheni. I curdi hanno invece vecchi fucili e munizioni che vengono lesinate, poiché l’interesse principale, dettato soprattutto dalla Turchia, non è sconfiggere il califfato ma impedire che i curdi guadagnino tanto terreno da poter aspirare ad un loro Stato. Formigli intervista un militante curdo a Kobane, nel nord della Siria al confine con la Turchia, che racconta di una strage perpetrata dagli uomini del califfato nella città curda. “Sei giorni fa –dice il combattente – un cingolato militare dell’Isis è entrato da lì ed ha fatto una strage. Senza la complicità dei turchi non sarebbe stato possibile: la frontiera era stata lasciata incustodita”. Formigli non usa mezze parole per denunciare il comportamento ambiguo della Turchia, che raggiunge l’acme nell’estate del 2014, “un tempo –scrive – di doppi e tripli giochi. Armi, denaro e combattenti attraversano per mesi la porosa frontiera turca per alimentare la guerra del califfato. Più che fermare l’Is, Erdoğan sembra preoccupato di arginare le ambizioni espansioniste dei curdi”. Nel maggio del 2015 il giornale turco Cumhuriyet pubblica uno scoop intitolato “Le armi che Erdoğan non vuole farci vedere” con foto e filmati di armi, risalenti al 19 gennaio 2014, che i servizi segreti turchi stanno consegnando ai tagliagole dell’Is. A giugno del 2015, Can Dündar, direttore di Cumhuriyet, è stato accusato di spionaggio per “aver commesso crimini contro il governo della Turchia” ed il PM ha chiesto per lui l’ergastolo.

Un altro fatto che lascia esterrefatti riguarda la Highway 47, la statale che collega Mosul a Raqqa, due città strategiche sotto il controllo dell’Is, che è stata usata per trasportare armi e petrolio del califfato, senza che nessuno intervenisse, per mesi. L’esercito di al Baghdadi non ha aerei né elicotteri per cui il trasporto via terra è fondamentale, eppure, nonostante le immagini dettagliate dei droni, nessuno ha dato l’ordine di bombardare. Solo molto dopo, durante l’offensiva verso Sinjar, i peshmerga curdi hanno occupato 30 chilometri di questa strada, bloccando finalmente i collegamenti tra le due città. Un comandante curdo locale afferma che la strada andava bombardata subito, “noi curdi volevamo farlo, ma gli americani ce lo hanno impedito. Dicevano che avremmo rischiato di ammazzare civili”. Lo stesso concetto viene confermato il 27 luglio 2015 da un’intervista ad Al Jazeera del generale curdo Feisal Khalkani che dichiara: “Questa strada è molto importante per l’Isis perché collega le principali zone sotto il suo controllo, ma il nostro comando ci vieta di colpirla. Neanche gli aerei della coalizione internazionale …provano a toccarla”.

C’è un ultimo aspetto che lascia totalmente sconcertati ed è quello che riguarda l’incredibile capacità di propaganda dimostrata dall’Is. Il modello di riferimento è, esplicitamente, Hollywood e i filmati per il reclutamento dell’esercito americano. La fotografia di un’esecuzione fra i templi di Palmira, per esempio, mostra un’incredibile cura del set, ispirato alla serie americana Game of Thrones. Quello che sconvolge, però, è la capacità dell’Is di veicolare i suoi contenuti sanguinari, sfruttando la rete globale. Come ha riportato il settimanale tedesco Der Spiegel, quando si installa una parabola per la trasmissione dati, il cliente deve fornire le coordinate precise con un Gps. I grandi operatori europei come la francese Eutelsat, l’inglese Avanti Communications e la lussemburghese Ses sono quindi a conoscenza della collocazione delle parabole usate per inviare le immagini di stragi e distruzioni dai territori dell’Is. Perché non sono mai state bloccate?

Corrado Formigli, Il falso nemico – Perché non sconfiggiamo il califfato nero

Rizzoli, 250 pagg, 18 euro

 

 

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