Nel corso degli ultimi quattro anni in Grecia c’è stato un aumento del 200 per cento dei casi di Aids. Secondo quanto riferisce l’inglese The Telegraph, una rilevante concausa del fenomeno è dovuta all’aumento del meretricio. È una delle facce della crisi: donne che non trovano altro lavoro, seppure altamente qualificate, sono spinte a darsi al mestiere più vecchio del mondo per cercare di tirare avanti. Il Telegraph riferisce del caso di una signora che, pur essendo medico titolare di un ambulatorio, non riece a cavarsela con l’esercizio della professione: nel tempo libero si prostituisce per sbarcare il lunario della famiglia. Una malattia a trasmissione sessuale in queste circostanze ha vita facile.

Ma il caso greco non è isolato nel mondo: l’Aids è in aumento un po’ dovunque. Il più recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms, dati del 2013) parla di 35 milioni di persone colpite, di cui 3,2 sotto i 15 anni.

Due milioni e mezzo di persone hanno contatto il virus nel corso del 2013. Circa 19 milioni di persone sono ritenute portatrici del virus Hiv senza esserne coscienti, il che vuol dire che non possono voler evitare di diffondere il contagio. Sempre secondo l’Oms da quando si è saputo dei primi casi, nel 1981, sono morte quasi 40 milioni di persone per questa epidemia. Nel solo 2013 i decessi dovuti a malattie collegate all’Aids sono stati un milione e mezzo.

Quasi 25 milioni portatori di Hiv vivono nell’Africa subshariana, e in generale l’epidemia colpisce maggiormente le zone più povere. Sono dati sconcertanti per divese ragioni.
Anzitutto colpisce il paragone con quanto avvenuto sulla scena massmediatica a seguito dei recenti casi di Ebola: mesi di campagne martellanti sui mass media di mezzo mondo: per un’epidemia certamente gravissima. Ma come considerarla, se paragonata alla gravità dell’Aids? E che pensare della capacità di mobilitazione dell’attenzione, delle forze, delle risorse, delle coscienze, se ci si muove secondo l’emotività del momento mentre si accetta nel silenzio quella che dagli organismi che presidiano la salute nel mondo considerano la più grave epidemia di questi decenni?
I progressi compiuti dalle cure mediche, che garantiscono ottime possibilità di pervivenza a chi è in grado di curarsi, non sono bastati a contenere il diffondersi del contagio. Manca, come sempre, la prevenzione, malgardo le innumerevoli campagne di sensibilizzazione. Il problema tuttavia è quello illustrato dal caso greco. Perché la Grecia non è un paese tra i meno avveduti del mondo, né le mancherebero le infrastrutture necessarie per combattere efficacemente l’epidemia.
Il problema è che quando si dice crisi economica non ci si riferisce a un fenomeno che riguardi solo coloro che si occupano di contabilità. L’impoverimento, la mancanza di prospettive e di speranza colpiscono e piegano la totalità della persona umana, ne minano la dignità. Forse addirittura più di quanto possa avvenire quando vi sia esercizio della forza bruta. Perché dove c’è esplicita oppressione, l’oppressore ha un volto. Nella generale crisi, per quanto lo si cerchi, non c’è un nemico chiaramente identificabile, sconfitto o eluso il quale si possa pensare di uscire dalla condizione di sofferenza. Bisognerebbe trovare un sistema di organizzazione della vita civile (della “polis”) che mobiliti le energie migliori. Non tramite contraffatti e illusori annunci che presto tutto passerà, come avviene coi bollettini di guerra in cui sempre si parla di vittoria anche quando l’esercito è in rotta e il nemico alle porte. Ma con un’onesta e chiara prospettiva politica. Rifugiarsi nell’emotività può essere divertente quando tutto procede bene. Quando ci sono problemi seri bisogna saper guardare in faccia la realtà: non c’è un sostituto per la verità.

(LS)

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