di Olimpia Niglio

Abstract

In the 20th century, the dynamics that have built up around the concept of cultural heritage have crystallized this definition within an undynamic context and open to assessing its evolutions. However, it is not possible to subtract this concept from an evolutionary process that is also more appropriate in relation to the ecological balances with which dialogue is essential from now on. This paper suggests a proactive analysis to activate a profitable path of regenerated humanization of the concept of cultural heritage on an ethical and creative basis.

Introduzione

Molti uomini non hanno mai abitato veramente il mondo, perché hanno solo vissuto le descrizioni di questo mondo. Tuttavia, queste narrazioni, pur nella loro più veritiera oggettività, sono estranee a chi è ospitato sul pianeta e spesso favoriscono l’incapacità ad interrogarsi su ciò che siamo e dove siamo. La conseguenza è stata il decentramento dall’universo e quindi dalla realtà. Pochi si sono interrogati circa l’esistenza di un pianeta tra tanti, all’interno di un sistema ancora tutto da esplorare; spesso quei pochi hanno visto nell’universo solo un’opportunità materiale e di affermazione individuale ma non un progetto per l’umanità. Così la Terra è divenuta materia indifferente.

In questo processo di desertificazione del saper vedere, del saper sentire, del sapere valutare, all’inizio del 2020 è entrato prorompente nella vita di tutti un ospite inquietante che ci ha mostrato l’indifferenza dell’uomo sulla terra, l’estraneità con cui questo uomo vive quotidianamente su un pianeta che fa parte di un sistema cosmico che manda messaggi non ascoltati. È quello che Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900) ha chiamato il “nichilismo” 1 che custodisce il senso del tramonto sulla terra. Ma cosa è il nichilismo se non la perdita dei valori supremi? E quali sono questi valori supremi?

Nietzsche, buon osservatore di questo mondo, già negli anni ’80 del XIX secolo affermava:

[…] Vidi una grande tristezza invadere gli uomini. I migliori si stancarono del loro lavoro. Una dottrina apparve, una fede le si affiancò: tutto è vuoto, tutto è uguale, tutto fu! Abbiamo fatto il raccolto: ma perché tutti i nostri frutti si corrompono? Che cosa è accaduto quaggiù la notte scorsa dalla luna malvagia? Tutto il nostro lavoro è stato vano, il nostro vino è divenuto veleno, il malocchio ha disseccato i nostri campi e i nostri cuori. Aridi diamo divenuti noi tutti […] Tutte le fonti sono esauste, anche il mare si è ritirato. Tutto il suolo si fenderà, ma l’abisso non inghiottirà! Ah, dov’è mai ancora un mare dove si possa annegare: così risuona il nostro lamento sulle piatte paludi. 2

Questa mancanza assoluta di senso della realtà, e la conseguente negazione dei principi e dei significati propri della vita, ha preso il sopravvento su quella morale e quella spiritualità che per secoli ha caratterizzato l’esistenza dell’uomo sulla terra. L’uomo della modernità non ha più creduto nei valori della propria interiorità e si è lasciato guidare dalla razionalità della tecnica che ha dato vita ad una povertà di valori senza limiti.

La tecnica, infatti, è entrata in pieno conflitto con i valori supremi su cui l’uomo, fino a tutto il XIX secolo, aveva fondato la propria esistenza. Questa tecnica ci ha assuefatti ad un mondo in cui il concetto di spazio si è annullato, il tempo velocizzato, vanificate le norme morali che regolano i rapporti tra l’uomo e l’ambiente e per le quali non ha senso riflettere perché ritenute antiche per coloro che intendono vivere la contemporaneità. Intanto questa tecnica ci ha guidato verso l’astrazione dalla realtà, accompagnando la nostra mente a creare sistemi macchinosi e ingegnosi estranei a quei valori supremi che fino a ieri hanno guidato la nostra vita. Questa astrazione oggi regola ogni azione della nostra esistenza e nella quale partecipiamo assorti da un comportamento improntato da un’entusiastica fiducia nella scienza astratta, a un’accettazione del materialismo e del positivismo come strumenti contro ogni forma di cultura, di tradizione, specialmente morale e religiosa, con esiti improntati alla valorizzazione dell’individualismo, dell’anarchismo e con sbocchi anche politici, di tendenza all’emancipazione sociale collettiva e quindi al populismo. Tutto questo, come giustamente affermava Nietzsche, è la chiara espressione della inarrestabile decadenza della cultura occidentale greco-cristiana, e insieme la denuncia di questa decadenza e la distruzione teorica e pratica dei valori della tradizione.

Ma la tecnica non aiuta a riflettere, non promuove un senso dell’esistenza, non apre scenari innovativi, non aiuta a svelare la verità che si cela dietro ogni cosa. Se questa tecnica è utilizzata perché deve garantire principalmente dei risultati e deve funzionare esattamente nel rispetto di regole astratte, allora c’è il rischio che tutto questo possa corrodere la capacità di pensiero, l’etica, la storia, le religioni, le identità, le libertà, insomma tutti quei valori supremi che hanno nutrito la vita sulla Terra nell’età pre-tecnologica3.

Una forma di omologazione che aveva preoccupato molto anche il filosofo ed epistemologo tedesco Walter Benjamin (1892-1940) che nell’analizzare il contributo della tecnica con riferimento all’arte ne esaltava la capacità di riproduzione e di diffusione tra un più largo pubblico, in cambio però di una rimessa in discussione dei rapporti tra arte e uomo. Infatti, Benjamin riteneva che alcuni aspetti valoriali e tradizionali dell’arte, come la creatività, il genio, il valore interiore dell’artista, venissero fortemente recisi, riducendo così l’arte a strumento dei totalitarismi e quindi di “estetizzazione della politica” 4.

Se ne deduce che in tutte le epoche di grandi cambiamenti i valori supremi della vita siano stati messi fortemente in discussione e che ora il nuovo ospite inquietante ci offre un’ottima opportunità: riflettere sui valori fondanti del patrimonio culturale e rigenerare il suo significato.

L’ospite inquietante e la Consapevolezza dell’essere

Nel corso del XX secolo il cambiamento che si è manifestato passando dal paradigma meccanicistico al paradigma ecologico è avvenuto in forme e velocità differenti nei diversi settori anche delle scienze umane. Questo cambiamento non è mai stato costante e ha riguardato, in modo spesso caotico, molte azioni delle comunità5.

La prima forte opposizione al paradigma meccanicistico si è registrato alla fine del Settecento con il movimento artistico-letterario romantico che ha visto soprattutto le ideologie del poeta William Blake (1757-1827) esercitare una grande influenza anche sui poeti e filosofi tedeschi che manifestarono grande interesse per la natura e le sue forme organiche. La comprensione per le forme organiche ebbe un ruolo fondamentale anche nella filosofia di Immanuel Kant nel cui idealismo considerava la natura come un ente chiaramente dotato di specifiche finalità e tra queste la più importante era la comprensione della vita6.

La visione romantica aveva condotto la scienza verso uno studio finalizzato a considerare il pianeta come un “Tutto integrato”, come una entità vivente che custodisce lunghe tradizioni. Una visione della Terra, venerata come divinità, che era durata fino a tutto il XVI secolo quando poi la concezione di Cartesio (1596-1650) aveva sostituito quella visione suprema con una visione meccanicistica. Solo alla fine del XVIII secolo lo studio della vita sulla Terra torna ad essere un tema fondamentale. Tuttavia, il XX secolo segna nuovamente un passo verso quel meccanicismo che ha nuovamente offuscato il ruolo della biologia, intervenendo in modo indiscriminato nella percezione materiale della realtà e quindi sul significato che è stato attribuito anche al concetto di patrimonio culturale. Intanto già durante il XIX secolo molti scienziati iniziarono nuovamente a studiare le comunità e i suoi organismi dando vita alla nuova scienza dell’ecologia.

Intanto solo alla fine del XX secolo le discipline che hanno contribuito a far piena luce sulle forme tangibili e intangibili del patrimonio culturale – come afferma Grazia Marchianò (1941)7 – sicuramente sono state quelle connesse all’ecologia umana, ossia a quella formazione continua propria dell’uomo che intende sentirsi parte di un tutto e relazionato con la natura e il cui sviluppo scientifico risale proprio alla fine del XIX secolo a seguito dei preliminari studi approntati da Ernst Haeckel (1834-1919) biologo tedesco8. Il concetto trova degli interessanti riscontri negli ancient futures, acuta definizione di Helena Norberg-Hodge, linguista e fondatrice di “Local Futures”, un’organizzazione culturale internazionale per la rivitalizzazione della diversità culturale.

Intanto l’ospite inquietante che è entrato silenziosamente nelle nostre vite all’inizio del 2020 ha contribuito a rimettere in discussione certezze sistemiche che si sono dimostrate molto fragili nonché ha consentito di elaborare corretti interrogativi in merito a ciò che rappresenta il nostro patrimonio culturale. Si è giunti, pertanto, ad un punto di svolta.

Se per tutto il XX secolo sono state elaborate infinite definizioni che hanno occupato innumerevoli volumi è ora giunto il momento di riflettere che molte cose non sono state altro che una artificiosa creazione mentale che è stata vincente attraverso tutto il XX secolo, influenzando i modi di pensare e di sentire dall’Oriente all’Occidente, imponendo una visione insulare, miope e angusta dei patrimoni culturali riduttivamente apprezzati per il loro valore materiale di “merce di consumo”, e in molti casi sviliti o ignorati solo perché non rispondenti ad un parametro economico. Basta osservare cosa sono diventate le fantomatiche “città d’arte”.

Ebbene quest’ospite inquietante, seppur molto recente, è stato considerato un fantasma, un tiranno micidiale che ci ha svegliato da un profondo sonno che ci ha distolto da una realtà verso la quale tutti vorrebbero rientrare. Ma la storia è altro dal fare passi indietro; il tempo avanza e non arretra e le generazioni del XXI secolo devono ora aprire gli orizzonti della mente all’intreccio intrinseco di tangibile e intangibile del patrimonio culturale, un intreccio identico a quello che annoda in fisica l’energia e la materia, i piani micro e macrofisico di una realtà universale in espansione.

Rispetto ad altri esseri del mondo vivente, gli umani dispongono di una mente estesa e grazie ad essa la creatività, in tutti i suoi aspetti, ha preso forma nei millenni arricchendo la natura, la Terra di stratificazioni materiali e immateriali, sedimentati nella memoria collettiva. Occorre compiere oggi un’opera ardita di archeologia germinale, riscoprendo i tesori del passato remoto e recente per iniettarli in quegli ancient futures cui oggi guardano gli esponenti più avanzati dell’ecologia umana. Ecco che l’ospite inquietante appartiene a un tempo pronto finalmente a risorgere dalle ceneri nichiliste già denunciate da Nietzsche sin dalla metà del XIX secolo, per progettare un pensiero illuminato i cui lumi non sono più proiettati dalla sola ragione, madre e matrigna dell’ospite inquietante, idolatrata dalla cultura europea settecentesca, ma dalla consapevolezza dell’illimitato nascostamente presente in ogni aspetto della creatività umana. Questa creatività deve essere posta alla base di quel pensiero illuminato attraverso il quale è fondamentale adesso andare “oltre il limite” che pochi hanno osservato per timore di perdere quelle certezze che si sono manifestate in tutta la loro fragilità perché fondate su valori non supremi della vita9. Da qui la necessità consapevole di rigenerare valori fondanti del nostro patrimonio culturale dando nuova linfa vitale alle sue radici e quindi alla Cultura e all’Etica.

Cultura e Etica

Sono due termini entrambi molto impegnativi e complessi ma in questo contesto è opportuno condividere riflessioni e pensieri connessi al significato di queste due parole.

Il termine Cultura deriva dal latino colĕre “coltivare” e dal suo participio passato cultus. Il termine indica l’insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito grazie allo studio, all’osservazione attenta della realtà in cui opera e alle diversificate esperienze che la vita le ha offerto e alle quali non si è sottratta ma piuttosto, da queste ultime, ha colto il significato e gli strumenti necessari per convertire semplici nozioni in elementi costitutivi della sua personalità. La cultura alimenta la personalità morale, spirituale e relazionale dell’individuo e lo rende consapevole difronte al mondo, disponibile verso il prossimo, interessato all’ignoto e poco partecipe delle assolute certezze.

La cultura costituisce l’insieme delle conoscenze e include in sé tutte le discipline, quindi la multidisciplinarietà. Un testo di storia che narra di un’antica civiltà acclude necessariamente in sé riferimenti alla letteratura, alla filosofia, all’arte, all’antropologia e pertanto ad un insieme articolato di conoscenze dove ogni fattore conoscitivo non è un tassello a sé ma è parte di un «tutto» molto complesso dove entrano poi in gioco le competenze.

Ma la cultura è anche rappresentazione delle istituzioni sociali, politiche ed economiche, delle attività artistiche, delle imprese culturali, delle manifestazioni spirituali e religiose, che caratterizzano la vita di una determinata società in un dato momento storico e in un dato ambito geografico e pertanto culturale.

Sicuramente il termine cultura ricopre un significato ben più ampio se lo analizziamo sotto il profilo squisitamente semantico e quindi proprio della scienza dei significati e degli aspetti simbolici connessi alla cultura. Il termine infatti viene ad acquisire un valore sempre più crescente con riferimento ai temi del sociale e quindi propri della sociologia. Una buona cultura infatti aiuta a leggere, praticamente, i sistemi di vita, di costume, di comportamento e in particolare contribuisce a determinare quei valori fondativi propri di una sensibilità e di una consapevole coscienza collettiva che, oggi più che mai, tutti dobbiamo avere e mettere in atto nell’analizzare i problemi dell’umanità. Problemi che non possono essere più ignorati e trascurati e tra questi certamente la ricostruzione di un sistema culturale ed educativo che metta al centro il “patrimonio umano”10 attraverso le innovazioni e la creatività.

Ma cultura è ovviamente ancora tutto ciò che concerne la conservazione del nostro patrimonio, la tutela dell’ambiente, la risoluzione di problemi connessi al rispetto del territorio, al “buon governo” e quindi alla capacità di saper rispondere a problemi reali della società e alle esigenze dei differenti assetti multiculturali. Cultura significa quindi sapersi interrogare, sapersi comportare, saper agire per il bene comune.

Quindi la Cultura è Etica. Ma cosa intendiamo quando parliamo di Etica?

Aristotele affermava che […] l’etica è quella branca della filosofia che studia la condotta degli esseri umani e i criteri in base ai quali si valutano i comportamenti e le scelte11.

L’etica dal greco ἦθος (éthos) indica una parte della filosofia che si preoccupa di analizzare il comportamento umano e va distinta sia dalla politica sia dal diritto, in quanto questo ramo della filosofia si occupa più specificamente della sfera delle azioni buone o cattive del comportamento dell’uomo. Intanto da sempre la filosofia si è occupata di etica e quindi di comportamento morale dell’uomo.

Sicuramente le basi vanno ricercate nelle lezioni di Socrate, di cui ci parla Platone, in cui la ricerca del “bene” rappresenta un primo importante tentativo per definire le virtù dell’uomo. Aristotele da parte sua fonda il concetto di bene non tanto su un’idea di perfezione ma piuttosto di natura propria dell’uomo e si concentra sulla definizione di felicità che può essere perseguita solo attraverso un comportamento rispettoso nei confronti della natura umana. Solo la cultura e quindi il prevalere delle facoltà razionali può rendere l’uomo felice e libero di agire per il bene comune.

All’etica segue poi la morale, dal latino moràlia, che indica la condotta che l’uomo deve seguire nelle sue azioni. La morale infatti studia il comportamento umano e i suoi valori nel rispetto della comunità e pertanto è intesa come parte dell’etica.

Ma come tutto questo trova applicazione nelle azioni che il “patrimonio umano” e quindi le comunità devono compiere nel pensare alle modifiche adottate sui territori in funzione del benessere delle società, senza che prevalgano altri fattori che esulano dall’interesse per il bene comune.

Forse una chiave di lettura la ritroviamo nelle parole di papa Francesco che già, in occasione del V° Convegno Nazionale della Chiesa Italiana, svoltosi a Firenze il 10 novembre 2015, invitava all’umiltà e affermava che l’ossessione di preservare la propria gloria, la propria magnificenza a discapito della “dignità altrui”, non deve essere alla base dei nostri sentimenti e delle nostre azioni.

Verso una risignificazione del Patrimonio Culturale

Ripercorrendo gli scritti di Elémire Zolla (1926-2002) non è difficile intuire che quando ci riferiamo al patrimonio culturale stiamo analizzando qualcosa di cui l’umanità è parte integrante ed attiva. Infatti, il patrimonio culturale rappresenta l’insieme delle tradizioni e quindi quell’

[…] insieme di conoscenze, di simboli presenti in ogni popolo e in ogni tempo, nel sogno e nella veglia dell’uomo: solo grazie alle tradizioni si possono vincere i limiti dello spazio e del tempo e si può giudicare la storia, la quale altro non è che Tradizione12.

Questo è l’unico punto d’appoggio per chi voglia realmente operare a favore del progresso e non a vantaggio dell’inquinamento intellettuale e della totalità del pensiero omologante.

Nel XX secolo, soprattutto nel mondo Occidentale, l’aver dimenticato la spiritualità, l’aver favorito l’abbandono delle pratiche contemplative a favore del “progresso” finalizzato unicamente a dare valore ai beni materiali e lo sfruttamento della Terra ha condotto solo alla compassione per tutti gli esseri viventi sulla Terra13. Diversamente le culture orientali, fondate su paradigmi meditativi, hanno fortemente valorizzato il concetto delle tradizioni e hanno contribuito a costruire un umanesimo culturale al fine di assicurare pari valore alla scienza e alla spiritualità che, insieme, devono lavorare per elevare la condizione umana e la qualità della vita.

Anche il termine “patrimonio” ha una radice latina e deriva da pater che significa padre ed munus che significa dovere, obbligo. Ecco perché il contenuto della parola Patrimonio, nell’accezione occidentale di radice latina, rappresenta tutte le cose che fanno parte di un’eredità e che nella lingua anglosassone trova riscontro nel termine heritage. Il concetto di patrimonio nel senso più comune indica quindi un insieme di oggetti, conoscenze e ricordi che hanno un’importanza preferenziale per l’individuo o per una comunità. Così una fotografia, alcuni gioielli di famiglia, le storie dei nonni, tutte queste cose devono essere considerate piccoli tesori, beni indispensabili per un individuo. Non è un caso che la definizione stessa di “patrimonio” sia nata e si è sviluppata in relazione a un’esigenza insita nell’essere umano: trasmettere alle generazioni future la cultura che abbiamo ereditato. Questa esigenza comincia a manifestarsi nella vita privata quando i genitori trasmettono ai propri discendenti le proprietà, gli stili di vita, i costumi, le convenzioni sociali, la storia, le tradizioni.

In tutto questo, troviamo il tangibile e l’intangibile che rappresentano la totalità di un patrimonio che non è possibile suddividere e in cui ognuno riconosce i propri valori culturali.

Tutto questo contribuisce a definire un’etica della cultura del patrimonio che è strettamente legata alla necessità di preservare la memoria di ogni individuo, di ogni comunità e di ogni paese. Quest’etica della trasmissione della memoria rappresenta l’identità culturale e quindi il segno di appartenenza. Questo ci aiuta a donare nuova linfa vitale al patrimonio culturale che non può essere recluso tra i confini di una nazione o all’interno di una normativa ma, diversamente, deve essere testimonianza diretta della collettiva internazionale e di quella molteplicità creativa della mente estesa di cui oggi abbiamo grande necessità per risignificare questo patrimonio nel rispetto delle contemporanee necessità.

Infatti, il patrimonio rappresenta lo stile di vita di una comunità, è l’insegnamento di modelli culturali di generazione in generazione ma allo stesso tempo è anche la modificazione di ciò che è stato ereditato e la proiezione dei desideri della comunità sociale verso il futuro14.

Il patrimonio è quindi un concetto molto ampio che comprende necessariamente le relazioni personali e spirituali, economiche e politiche in una società e si estende a tutte le sfere dell’attività umana e pertanto comprende: la storia, la cultura, le tradizioni, la memoria, l’identità, e tutte queste sono interconnesse e allo stesso tempo sono indispensabili per lo sviluppo della consapevolezza individuale e sociale del tema del patrimonio stesso.

Conclusioni: verso una nuova istanza culturale

È fondamentale conoscere ed analizzare le singole identità culturali e pertanto il patrimonio ereditato, non identificando questo in relazione ai principi dell’utilitarismo e del consumismo, quindi secondo leggi che potremmo definire globalizzanti, ma piuttosto favorendo la capacità di ogni individuo a riconoscere e valorizzare la propria specifica identità che è anche espressione di libertà e di eguaglianza sociale. Questo riconoscimento del valore del patrimonio ereditato e della partecipazione collettiva stabilisce uno stretto legame tra la società ed il patrimonio culturale, quindi con la memoria e l’identità del luogo. Tale condivisione collettiva del patrimonio culturale è favorita anche dalle numerose e diversificate azioni che investono aspetti sensoriali ed emozionali propri di ogni singolo individuo che usufruisce del bene ereditato15.

Si comprende pertanto come l’analisi del valore, non solo strettamente economica, di un bene ricevuto in dono, quale è appunto è il patrimonio culturale in tutta la sua complessità, sia legato al contesto sociale e culturale cui il bene stesso si riferisce e quindi alla sua identità storica e sociale16. Da qui l’opportunità di attivare un percorso di risignificazione dell’istanza culturale del patrimonio ereditato, basata su un approccio umanistico e inteso come un atto etico che muove e giustifica le attività umane nel rispetto delle diverse collettività17. Tutto questo affinché l’obiettivo da perseguire sia effettivamente quello di imparare a prendere le distanze da un universalismo superficiale senza con ciò cadere però nel “culturalismo” che, essendo solo il contrario dell’universalismo, non apporterà alcun favorevole cambiamento dal punto di vista dei contenuti etici se non adeguatamente supportato da processi educativi che sono fondamentali e alla base di questo percorso di risignificazione del patrimonio culturale18. Questo trova importante riscontro anche nel pensiero di Max Weber ripreso dalle pagine del libro “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”19 (1904) in cui il filosofo ed economista tedesco affermava che solo l’apprezzamento per un lavoro professionale continuo, sistematico e ben strutturato, insieme all’autentica rinascita delle fede della persona, può costituire una potente leva per una concezione della vita quale “vocazione” (Beruf) a servizio della comunità affrontando consapevolmente i doveri di questo mondo e pertanto nel rispetto e nella trasmissione del patrimonio culturale ereditato20.

Note:

1 Nietzsche 1885.

2 Galimberti 2007, pp.18-19.

3 Galimberti 2000.

4 Benjamin 1936.

5 Capra 1996.

6 Marassi 2004.

7 Marchianò 2014.

8 Gasman 1998.

9 Queste riflessioni sono il frutto di un confronto dialettico tra l’autore di questo contributo e Grazia Marchianò, estetologa e orientalista, responsabile del Fondo Scritti Elémire Zolla.

10 Niglio 2016, pp. 47-51.

11 Fermani 2008.

12 Zolla 1998.

13 Niglio 2012b, pp. 271-275.

14 Niglio 2015.

15 Facchini 2002, pp. 145-146.

16 Niglio 2012a, pp. 23-38.

17 Niglio 2014, pp. 1-4; Niglio 2015b.

18 Jullien 2012.

19 Weber 1991.

20 Zanotto 2005.

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