Il jihad del sesso viene promosso con certo successo da siti internet e social network come possibilità per le donne di offrirsi come spose temporanee ai combattenti in Siria e in Iraq. Alcune fatwe lo supportano, altre lo condannano. Un quadro sintetico di come i media arabi lo presentano.

 

Negli ultimi mesi i militanti di Daesh, la sigla araba che indica Isis, hanno lanciato una vera e propria campagna mediatica per il reclutamento di donne alla causa jihadista. Sul web sono sempre più numerosi gli account Twitter e le pagine Facebook, in arabo ma anche in inglese, che invitano le musulmane (e non solo) a intraprendere il cosiddetto “jihâd al-nikâh”, il jihad del sesso. Jihad Matchmakers è uno dei numerosi account Twitter che si prefigge di «aiutare i fratelli e le sorelle che vivono in Siria a trovare la sposa halâl [dall’arabo, lecita]». Aperto il 4 settembre scorso, ha raggiunto in breve tempo gli oltre 300 followers. «Vuoi sposare un jihadista in Siria? Vuoi sposare una donna martire? Scrivici specificando la tua età, la tua lingua e il tuo stato civile, e poi invoca il Clemente. Iddio è il più generoso!» si legge su uno degli account.

Una volta giunte in loco, oltre a darsi in spose ai militanti dello Stato islamico, agli uomini dell’esercito libero siriano o di Jabhat al-Nusra, alle jihadiste sono richiesti anche altri servizi come soccorrere i feriti, cucinare e far circolare sui social network le notizie dal fronte jihadista. Ma non è tutto, perché una jihadista deve anche saper maneggiare le armi. Tutte abilità, queste, che le donne acquisiscono al loro arrivo nel califfato partecipando ai programmi di addestramento a loro riservati, come quelli offerti dalla “Fondazione al-Zawrâ’ per la produzione mediatica”. Voluta dal califfo per addestrare le nuove arrivate sotto l’attenta supervisione delle veterane del jihad, la Fondazione al-Zawrâ’ vanta un certo seguito: a un mese dall’inaugurazione la pagina Facebook registra oltre 500 “mi piace”, e Twitter ha raggiunto già i 3000 followers. Tra gli argomenti condivisi sul web, le istruzioni per preparare le razioni alimentari, una lettera dedicata alle madri e alle mogli dei jihadisti, un articolo contenente le indicazioni per le donne che desiderano arruolarsi.

Ma chi abbia reso lecito il jihad del sesso è difficile dirlo ed è una questione piuttosto controversa che alimenta ormai da diversi mesi il dibattito interno al mondo musulmano a cui da voce la stampa araba. La nozione di jihâd al-nikâh sarebbe comparsa la prima volta a marzo 2013 sull’account Twitter del predicatore saudita Muhammad al-‘Arîfî, imam della moschea dell’Accademia Re Fahd della Marina militare saudita. La fatwa che rendeva lecita questa pratica recitava: «La legge consente alle musulmane che abbiano raggiunto almeno i 14 anni d’età, alle donne divorziate e alle vedove di stipulare il matrimonio a ore con i mujâhidin siriani. Questo matrimonio dalla durata di poche ore per dare modo anche ad altri mujâhiddin di sposarsi rende più forti i combattenti. Pertanto alle donne che si offrono è assicurato il paradiso». La notizia della fatwa però ha suscitato l’immediata reazione del predicatore saudita che ha negato di esserne l’autore, spiegando a sua discolpa di essere stato vittima di un hacker che gli avrebbe rubato il profilo e twittato a sua insaputa la fatwa in questione. A seguire, la notizia della fatwa sarebbe stata diffusa dapprima sul canale siriano filo-governativo “al-Jadîd”, poi sui canali televisivi libanesi di Hezbollah e Harakah Amal, su Dawlah al-Qanûn emittente legata al Presidente iracheno Nurî al-Mâlikî, e infine su alcuni canali di proprietà di personalità religiose filo-iraniane del Kuwait.

Secondo il quotidiano egiziano indipendente Al-Yaum al-Sabi’, a questa prima fatwa ne sarebbero seguite altre, tutte formulate in ambito salafita. Il predicatore wahhabita shaykh Khabâb Marwân al-Hamad avrebbe emesso una fatwa che rende lecito il matrimonio a ore di una donna sposata all’insaputa del marito: «Alla combattente che intraprende il jihad sulla via di Dio è consentito sposare un altro uomo a insaputa del marito per non ferire i sentimenti di quest’ultimo. Ma nel caso in cui il marito accetti che la moglie sposi un combattente, allora non ci sono problemi e la moglie può portarlo a conoscenza del suo matrimonio. Iddio, grande e potente, purificherà la sua azione».

Una fatwa simile, riporta ancora la stampa araba, sarebbe stata promulgata anche dal presidente della Commissione degli ulama musulmani in Iraq, Hârith al-Dhârî, che avendo constatato la carenza di donne nubili, avrebbe dichiarava lecito il jihad del sesso anche alle donne sposate.
La stessa ragione avrebbe indotto Nâsir al-‘Umar, predicatore originario del Qassim – una delle regioni più conservative dell’Arabia Saudita, a emettere in prima battuta una fatwa che rendeva lecite ai combattenti sunniti anche le donne sciite, a cui è seguita una seconda fatwa che consentiva a un mujâhid di sposare temporaneamente una donna “mahârim”, ovvero una donna con cui l’uomo ha un legame di sangue e con cui perciò, secondo il diritto islamico, non può stipulare il matrimonio.

Ciò che sorprende è che il jihâd al-nikâh venga promosso non solo dai predicatori sunniti ma anche in ambito sciita, in cui il jihad è generalmente proibito sulla base dell’assunto secondo il quale solo l’imam occulto può dichiararlo. L’ayatollah ‘Alî al-Sîstânî, massima autorità religiosa dell’Islam sciita in Iraq, ha promulgato a sua volta una fatwa dichiarando lecito il jihad del matrimonio delle donne sciite con i mujâhidin sciiti: «Durante il jihad ai nostri combattenti sciiti è consentito intrattenersi con le jihadiste sciite prima di iniziare il combattimento, ciò che dà loro forza durante la battaglia. Questa pratica religiosa consente a chi pratica queste azioni meritorie di avvicinarsi al suo Signore e perciò noi esortiamo le donne a praticare il jihad del piacere (jihâd al-mut‘a), altrimenti detto “matrimonio del jihad” (nikâh al-jihâd), perché i nostri valorosi combattenti possano combattere con la mente sgombra dalla tentazione e dal desiderio sessuale».

Tutte queste fatwe hanno ovviamente suscitato l’indignazione ad ampio spettro di tutto il mondo sunnita. Lo stesso Abû Muhammad al-Maqdisî, l’ideologo dei salafiti-jihadisti di origini giordane, si è dichiarato contrario al jihad del sesso contro il quale ha promulgato una fatwa. Il jihad del sesso sarebbe una distorsione dell’Islam e della sharia operata dai miscredenti che storpierebbero la Parola di Dio per allontanare i fedeli dalla vera religione: «La nozione di jihad del sesso è un’invenzione che non ha fondamento né tra la gente dell’Islam in generale, né tra la gente dell’unicità e del jihad in particolare. Nell’abecedario e nel vocabolario della corrente salafita jihadista esiste una sola tipologia di jihad: il “colpo alla nuca”, dharb al-riqâb, [espressione coranica che indica l’uccisione violenta] ai nemici della religione, e il suo corollario, complemento e rafforzamento che è il jihad della parola (jihâd al-lisân) e che viene dopo il jihad della spada (jihâd al-sinân)». L’ideologo spiega che questa pratica non fa parte dell’Islam né della sharia, ed equivale all’adulterio (al-zina). Perciò, a suo dire, quella del jihad del sesso sarebbe «una creazione degli americani, dei sionisti e dei servizi segreti arabi per sfigurare l’Islam e i musulmani». Anche perché – ricorda al-Maqdisî in una lettera pubblicata su al-Quds al-‘Arabî, giornale indipendente con sede a Londra – «nell’Islam i mujâhidin chiedono in spose le urì, le ragazze del paradiso. Chi desidera le urì in paradiso non cerca un’urì di argilla nel mondo terreno», a significare che i jihadisti agiscono in vista di ciò che li attende in paradiso, in nome di un ideale più elevato che non sia una donna sulla terra. Ma molti militanti dello Stato islamico sembrano pensarla diversamente.

 

di Chiara Pellegrino | venerdì 28 novembre 2014 |

fonte: http://www.oasiscenter.eu/it/articoli/religioni-e-spazio-pubblico/2014/11/28/la-chiamata-al-jihad-del-sesso

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