La condanna definitiva con interdizione di Berlusconi dai pubblici uffici sembra aprire la strada al costituirsi di una nuova dinastia. Perché “Berlusconi” non è una persona, ma un marchio. In fondo lo è sempre stato: l’uomo nasce come incarnazione della pubblicità, e la pubblicità è sostanzialmente marchio. E tale resta anche in politica.

Un partito che passa di padre in figlio, il potere politico inteso come possesso dinastico. Sorprendente? Roba da colonia sottosviluppata? Ma no! Basti pensare alle tante dinastie che attraversano la storia degli Stati Uniti e di tanti altri Paesi.

I Roosevelt.

Theodore, ventiseiesimo Presidente degli Stati Uniti (dal 1901 al 1909) è considerato tra i grandi americani. Tra le varie opzioni politiche che caratterizzarono il suo periodo di Presidente, la lotta ai monopoli privati, il controllo del mercato attraverso la legge, riduzione delle tariffe pubbliche, ed essendo appassionato della natura, fu un ambientalista ante litteram. Repubblicano, si è sempre schierato per la giustizia sociale. Fu anche un “imperialista”, nel senso che combatté la presenza spagnola a Cuba e nelle Filippine, in difesa dell’indipendenza del continente americano dalle potenze europee, ma ovviamente favorendo il predominio statunitense. Un uomo d’azione.

Franklin Delano, cugino di Theodore, fu il trentaduesimo Presidente (dal 1933 al 1945 eletto tre volte, la terza durante la seconda guerra mondiale). Fu l’emblema della lotta alla depressione economica del ’29 , lanciò il New Deal per la creazione di infrastrutture utili al paese e sostenne la legge bancaria Glass-Steagall che dal 1933 impose una netta separazione tra le banche commerciali e quelle d’affari, così che fosse impossibile che tutto il settore bancario potesse investire in operazioni puramente finanziarie-speculative lasciando a secco l’imprenditoria. Da quando entrò in vigore quella legge, insieme con le altre misure del New Deal, il numero di fallimenti di imprese nell’economia statunitense crollò verticalmente. La sua leadership durante la seconda guerra mondiale ne hanno fatto una figura emblematica della lotta al nazifascismo.

I Kennedy.

Famiglia di origini irlandesi che ebbe in Joe l’esponente cruciale, del quale si dice avesse accumulato grandi fortune grazie al periodo del proibizionismo. Ma fu poi ambasciatore a Londra e soprattutto diede i natali a John Fitgerald, Bobby e Ted, e tutto il resto passò in second’ordine. John Fitgerald resterà come uno dei più importanti presidenti statunitensi (dal 1961 al 1963). Il primo cattolico nell’Oval office, colui che fermò la crisi di Cuba, colui che sostenne il movimento dei diritti civili di Martir Luther King spalleggiato in questo dal fratello Bobby, che era ministro della Giustizia. Tra i tanti suoi meriti, l’aver voluto portare il progetto Apollo alla conquista della Luna, l’aver immaginato e portato avanti la “nuova frontiera” della conquista dello spazio in tal modo imprimendo una svolta cruciale allo sviluppo del mondo contemporaneo. L’aver inteso l’avventura spaziale non come possesso privato dell’America, ma come una conquista per l’umanità, da condividere e l’aver voluto usarla anche come strumento di dialogo con l’Unione Sovietica, l’avversaria nella “guerra fredda”. Un uomo che ha fatto la storia e che alla storia è stato consegnato dal misterioso assassinio avvenuto a Dallas (Texas) il 22 novembre del ’63.

Bobby, suo fratello, dopo essere stato ministro della Giustizia con John F., nel 1968 si presentò candidato alla presidenza: fu assassinato il 6 giugno ’68 a Los Angeles. Due politici di primo piano assassinati nel giro di cinque anni, John Fitzgerald e Bobby. Grazie alla loro opera i diritti civili negli USA dove ancora imperversava il Ku Klux Klan, fecero imponenti passi in avanti.

Poi Ted fu senatore per decenni, e non si espose mai troppo: custodì la memoria dei fratelli uccisi e rimase un “power broker” nel partito Demoocratico. La vittoria di Barak Obama nel 2008 si deve anche a lui.

Il clan Kennedy continua: da buoni irlandesi cattolici sono molto prolifici e sono a decine i giovani e meno giovani Kennedy variamente posizionati nell’ambito della cultura, dei mass media, della politica statunitense.

I Bush.

Il contraltare repubblicano dei Kennedy: Wasp, ovvero white, anglosaxon, protestant. Magnati del petrolio. E i Kennedy sono bostoniani, e incarnano i legami con la cultura europea, i Bush sono texani e incarnano i legami con il potere petrolifero e con l’apparato della Difesa. Quell’insieme che il presidente repubblicano Eisenhower, che fu comandante in capo delle truppe americane durante la seconda guerra mondiale, ma che non era un militarista, denunciò come “il complesso militare industriale”. Così George Bush Sr., che a metà degli anni Settanta fu a capo della CIA, nel ’91 (fu presidente per un mandato, dal ’88 al ’92) promosse la prima guerra in Iraq, “Desert Storm”. L’operazione militare che portò 500 mila soldati americani sul sacro suolo saudita scatenando le ire dei musulmani fondamentalisti tra i quali Osama bin Laden, che ne trasse motivo per fondare Al Quaeda. Ma, a prescindere, fu una grossa operazione militare, si consumarono tante armi, l’industria bellica fu felice.

Non da meno fu il figlio,  George Jr. che fu presidente per due mandati, dal 2000 al 2008, e promosse la seconda guerra in Iraq, fondata sulla menzogna che l’Iraq avesse acquistato dalla Nigeria uranio arricchito per farne ordigni nucleari.

Ma anche in altri paesi vi sono dinastie persistenti.

I Gandhi.

Javaharlal Nehru Gandhi, che non ha legami di famiglia col mahatma Gandhi, fu il primo presidente di governo dell’India indipendente e successivamente più volte ministro. Soprattutto fu il leader del Partito del Congresso, che da allora continua a essere il principale partito politico indiano, il “partito-sistema”. Di tale partito i Gandhi sono la famiglia-guida. Non a caso dopo Nehru, dal 1966 sua figlia Indira divenne la figura di spicco del partito e fu più volte primo ministro. Con lei l’India cominciò il processo di industrializzazione e la sua “rivoluzione verde” portò i primi accenni di giustizia sociale nelle campagne. Fu assassinata nell’ottobre del 1984.

Seguì suo figlio Rajiv, che ne continuò la politica. In un certo senso fu costretto a farlo per quanto non volesse: l’erede designato era suo fratello Sanjai, politico di professione. Ma aveva la passione per gli aerei e precipitò nel 1980, morendo. Rajiv aveva altre mire, ma dovette farsi carico del posto che i Gandhi hanno nella politica indiana e così prese lo scettro dalla madre. Ma fu anch’egli assassinato, nel 1991. Aveva sposato l’italiana Sonia, che prese la nazionalità indiana e dopo la morte del marito divenne la principale esponente del Congresso, e tale è rimasta. Continua a occupare la carica di presidente del Congresso. Suo figlio Rahul è il vice. La dinastia continua. Avrà luci e ombre, ma è sostanzialmente collegata all’immagine dei progressi compiuti dall’India nel corso di questi ultimi 60 anni.

I Buttho.

La famiglia più poderosa del Pakistan.  Anch’essi legati all’idea di modernizzazione del paese. Nell’era delle forti tensioni belliche tra India e Pakistan, negli anni ’60 e ’70 (com’è noto quest’ultimo paese fu creato da una “costola” dell’India per ospitare la minoranza islamica) Zulfikar Ali Buttho, presidente pakistano, intrattenne un fecondo dialogo con Indira Gandhi alla ricerca di una pacificazione. Educato in California, la sua idea era di portare al pieno sviluppo industriale il Pakistan e in particolare teneva a svilupparne il potere nucleare, in campo civile e militare. Nell’estate del ’77 fu rovesciato da un golpe militare guidato dal generale Zia e, si dice, sostenuto dagli Stati Uniti. Dopo pochi mesi Buttho fu condannato a morte, peraltro senza neppure accuse precise.

Benazir, la figlia maggiore di Buttho, riordinò le file del suo partito, il PPP e nel 1982 a 29 anni divenne la prima donna a guidare un partito in un paese islamico. Pochi anni dopo fu eletta al parlamento. Accusata di corruzione si auto-esiliò (curioso comportamento dai caratteristici tratti etnici, inconcepibile da noi) e ritornò pochi anni più tardi, per impegnarsi ancora in politica. Fu assassinata nel dicembre 2007, a poche settimane dalle elezioni che avrebbe potuto vincere.

I Le Pen.

Fondato nei primi anni Settanta, il Fronte Nazionale di Le Pen si è profilato anzitutto come un partito anti-immigrati Oltre a questa fobia non è chiaro su che cosa si fondi il suo programma. Si ricordi che il Generale De Gaulle prese il potere in Francia alla fine degli anni Cinquanta, sia per via del disastroso governo socialista che aveva governato il paese in precedenza, sia per via dei problemi derivanti dall’occupazione coloniale francese in Algeria. A questa De Gaulle pose fine, scatenando le ire degli elementi più estremisti nelle file dell’apparato della difesa, il quali reagirono fomentando il terrorismo dell’OAS  l’Organization de l’Armée Secrète, un gruppo che ben 30 volte compì attentati alla vita del Generale – sempre andati a vuoto. Le Pen è in un certo senso il continuatore dell’ideologia dell’OAS, ma sul piano politico, non più terrorista. Si dice che abbia intascato una trentina di milioni di euro sottraendoli alle casse del partito. Dal 2011 sua figlia Marine ne ha preso il posto: è evidentemente un partito a conduzione famigliare.

Gli al Assad.

Anche loro hanno un partito a conduzione familiare. Hafez al-Assad prese il controllo del partito siriano Baas (socialista, legato a Mosca) nel 1970 e da allora l’ha sempre tenuto, divenendo il presidente della Siria. Aveva un erede designato, Basil. Ma questi morì in un incidete d’auto, nel 1994. E allora Hafez richiamò l’altro suo figlio, Bashar che intanto se ne stava a Londra a lavorare come medico, estraneo alla politica. Ma quando la famiglia chiama… tornò in patria e cominciò il processo di rieducazione. Nel 2000 alla morte del padre prese il controllo del partito e del Paese. Promise cambiamenti, democrazia, libertà, cultura. In breve cambiò idea, fece arrestare tutti gli intellettuali coi quali sembrava aver aperto un dialogo e continuò la politica paterna. Potere del senso di responsabilità familiare.

I Kim.

La dinastia che controlla la Corea del Nord. Essendo la Corea del Nord un paese comunista, i Kim sono dittatori comunisti. Il fondatore della dinastia è Kim Il-Sung, nel 1948, subito dopo la liberazione dal dominio giapponese. Educato alla scuola di partito di Mosca, impose in Corea del Nord il culto della personalità e riuscì a mantenere il paese bloccato nella miseria per i 46 anni successivi, tra parate e inni. È stato il grande padre dei nordcoreani e sua moglie la grande madre: l’essenza del comunismo reale, come descritto da George Orwell. Morì nel ’94 e poco dopo fu dichiarato “presidente eterno”, a scanso di equivoci per il futuro.

Gli succedette il figlio Kim Jong-Il. Morto nel 2011, è stato seguito dal figlio di questo, Kim Jong-Un, che oltre a continuare la politica di ferreo controllo del paese e di imbambolamento della popolazione, si è dedicato ad assassinare diversi membri della famiglia a partire da un suo zio e tutti gli altri parenti più stretti di questo… Parenti serpenti…

Be’, ma ci sono tante altre dinastie, a vari livelli, magari meno note. Espressione di diverse sensibilità nazionali, diverse abilità e vocazioni. Del resto anche nell’antica Roma ci furono i Gracchi, eroi della giustizia popolare, i Giulii, di ascendenza divina…

Ora in Italia abbiamo i Berlusconi, la cui ascendenza divina non è ancora provata, ma forse lo sarà presto. Del resto la persecuzione della magistratura nei confronti del capostipite sta già dando luogo ai primi indizi di santificazione, mentre con difficoltà i fedeli nel partito cercano tra le file della famiglia un degno successore.

Sarà del tutto originale. Non sarà come le grandi famiglia americane, democratiche o repubblicane che siano, perché quelle hanno una visione del mondo troppo ampia. Non sarà come le grandi famiglie dell’Asia meridionale, perché quelle hanno popolazioni troppo poveracce.

Non sarà come i Le Pen, perché quelli hanno un senso del tragico estraneo a quanto avviene al di qua delle Alpi.

Non sarà come quella nordcoreana, perché… perché… be’, anche lì s’usa molto la televisione, la menzogna è di casa, la gente adora i leader come buoni padri di famiglia… ma no, ci sono troppi assassinii.

E allora, come sarà?

Neppure da Cuba si può prendere ispirazione: lì il potere sinora si passa da fratello a fratello, la dinastia è ancora breve in quanto la vita politica sull’isola è molto lunga…

Sarà una dinastia italiana, con canti e spaghettate. Fanciulle procaci e dolce vita a oltranza. Raccolte di denaro ed esportazione del medesimo?  Chissà. Noi italiani siamo sempre molto provinciali, ma quando si tratta di capitali scopriamo che le Bahamas e Montecarlo, Lichtenstein e Lussemburgo non sono poi così lontani.

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