di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

Nel 2021 il G20 sarà presieduto dall’Italia. La fase di preparazione dei lavori, però, inizierà già da questo mese. Tra i vari dossier economico-finanziari, il nostro paese sembra intenda preparare con grande attenzione anche quelli concernenti la lotta alla corruzione.

Non si può negare che la corruzione a casa nostra sia un problema profondo e diffuso in diverse fasce della società. Molto spesso, però, l’Italia è stata pesantemente e ingiustamente penalizzata da giudizi poco affidabili. Di conseguenza, spesso è finita in fondo alle graduatorie stilate sull’attendibilità dei paesi.

Per esempio, il Corruption Perception Index (CPI), l’indice di percezione della corruzione più noto e diffuso, che copre circa 180 paesi ed è preparato da Transparency International, nel 2018 pone l’Italia ancora al 53.mo posto, insieme a Grenada e all’Oman. Al primo posto c’è la Danimarca, che sarebbe il paese meno corrotto al mondo.

Detti indici fondamentalmente derivano da rilevazioni di percezione e si basano su interviste fatte a un numero selezionato di soggetti. Ciò viene giustificato dal fatto che il delitto di corruzione, di solito, non è palese ed è difficile da individuare. La percezione, però, oltre ad essere molto soggettiva, può essere determinata da varie situazioni istituzionali e processuali, spesso totalmente differenti da paese a paese.

Il sistema di contrasto alla corruzione in Italia, almeno teoricamente, è molto forte. Si fonda su alcune peculiarità: l’autonomia del pubblico ministero, l’indipendenza della magistratura, l’obbligatorietà dell’azione penale, un buon funzionamento delle attività d’indagine e l’assoluta libertà di stampa anche per la pubblicazione di notizie di reato fin dall’inizio delle indagini. Fatte salve le prerogative del Presidente della Repubblica, tutti i funzionari pubblici, fino alle più alte cariche dello Stato, possono essere sottoposti a investigazione anticorruzione. In altri paesi è previsto il cosiddetto “interesse nazionale” nel perseguire, ad esempio, una public company in casi di corruzione internazionale. Da noi, invece, no.

Nel nostro sistema giuridico anche la semplice informazione di garanzia e l’iscrizione nel registro degli indagati, qualora oggetto di conoscenza legittima, possono essere pubblicate in tempo reale sui media.

Tutto ciò conferma l’esistenza di una relazione direttamente proporzionale tra regole forti, lotta alla corruzione e percezione della stessa. Si potrebbe avere un grande paradosso per cui “più si combatte la corruzione e più la si rendi percepibile”.

Singolare, comunque, è il fatto che l’Italia, pur occupando un posto basso nei suddetti indici, venga sempre più chiamata ad assistere gli altri paesi che ne intendono copiare il sistema di lotta alla corruzione.

È ovvio, quindi, che i metodi usati nella rilevazione della percezione debbano essere rivisti.

In verità, suscitano perplessità le stesse definizioni di corruzione. Concepita inizialmente nel CPI soltanto come bribery, la corruzione con o senza tangente, si è allargata alla frode internazionale, al riciclaggio e alla mala amministrazione. Naturalmente, paese che vai e percezione e interpretazione del concetto di corruzione che trovi. Infatti, oltre alla corruzione classica, vi sono altre forme tra cui la frode, l’appropriazione indebita, l’estorsione, ecc. Anche le stesse domande poste nelle interviste possono essere intese in modi differenti.

A ciò occorre aggiungere che tali indici pongono l’accento su alcuni concetti del liberismo economico, relativi agli scambi, al mercato, alla concorrenza, sottovalutando altri aspetti come l’eguaglianza e la giustizia sociale ed economica.

Gli effetti negativi della corruzione sull’economia e sul sistema paese sono, purtroppo, tanti: distrazione di risorse, interpretazioni errate delle normative, riduzione dei livelli degli investimenti, dell’efficienza, della competitività e della produttività. I riverberi negativi incidono non poco sulla crescita e sul gettito fiscale.

La collocazione nei posti bassi degli indici per una valutazione poco attendibile delle percezioni non è affatto indolore. Si indeboliscono l’immagine e la reputazione del paese e ciò, inevitabilmente, determina interessi più alti e meno investimenti internazionali.

Si tenga inoltre presente che gli enti che stilano gli indici di corruzione sono di solito privati, a cominciare da Transparency International. Ciò non è un male in sé ma non può nemmeno essere considerato come l’emblema dell’indipendenza e dell’obiettività.

Si ricordi, infatti, che, anche se in campi diversi, operano le tre note agenzie private americane di rating, quelle che sono state accusate di aver avuto un ruolo centrale nello scatenamento della Grande Crisi. Anche loro distribuiscono pagelle sullo stato delle economie, spesso con conseguenze devastanti. L’Italia ne sa qualcosa.

Ecco perché ci sembra giusto e doveroso che l’Italia, ponga con forza all’attenzione del G20 e del suo Anti-Corruption Working Group la necessità di ridefinire i metodi usati nella formulazione degli indici suddetti, affiancando al criterio della percezione altri elementi più oggettivi e meglio misurabili. Senza dimenticare, ovviamente, di tenere conto delle strategie e degli strumenti adottati per la prevenzione, il contrasto e la repressione della corruzione.

Nell’affrontare il delicato problema della corruzione, sarebbe opportuno coordinarsi con i paesi Brics, che nel loro ultimo summit di Brasilia su questo tema hanno deciso di impegnarsi anche per il recupero di fondi e attività trasferite all’estero.

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