di Aldo Ferrara

Dopo la sconfitta dei laburisti di Corbyn, la vittoria di Boris The King presenta un’incognita, tutta al di sopra del Vallo di Adriano: la Scozia. Dopo il primo referendum del 2014 con cui la maggioranza degli scozzesi, anche se non qualificata, votò per restare nel United Kingdom, oggi la Premier Nicola Sturgeon propone per il 2020 un nuovo referendum. Le basi politiche ci sono tutte. Lo Scottish National Party (SNP) è il primo partito avendo conseguito per Westminster 48 dei 59 seggi assegnati alla Scozia. Così, all’indomani, la premier scozzese dà un primo affondo, chiedendo a Boris Johnson un secondo referendum sull’indipendenza, da tenersi nel 2020, dopo il primo del settembre 2014, che aveva scelto il Nay con il 55% dei voti.

Ma poi, nel 2016, è avvenuta la Brexit e gli elettori in Scozia che hanno sostenuto di rimanere in Europa sono stati il 62%, ma il Regno Unito votò l’uscita per un risicato 52%. Una posizione incerta sulla Brexit ma decisamente pro UE.

Lo SNP ravvisa attualmente un “cambiamento sostanziale nelle circostanze” che giustificherebbe un secondo scrutinio per l’indipendenza, perché la Scozia ha dovuto affrontare l’esclusione dall’UE “contro la sua volontà”.

L’obiettivo dello SNP è che la Scozia lasci il Regno Unito e rientri nell’UE come stato membro indipendente. I passi dunque da tenere per la Sturgeon tramite referendum sono i seguenti: Primo Step: indipendenza dall’UK; Secondo Step: adesione riformulata all’UE.

La Scozia ha il potere di tenere un referendum?

C’è da tempo un dibattito giuridico sul fatto che il Parlamento scozzese, piuttosto che i parlamentari di Westminster, sia più legittimato ad approvare le leggi necessarie per tenere un nuovo voto sull’indipendenza, ma la questione non è mai stata messa alla prova in tribunale.

In ogni caso, Sturgeon vuole che il governo del Regno Unito accetti un trasferimento di poteri che consenta di tenere un referendum, come accaduto nel 2014. E ciò al fine di permeare di totale legalità il risultato da offrire alla UE.

Una Scozia indipendente rimarrebbe nell’UE?

In pratica, la Scozia non diventerebbe indipendente il giorno dopo il voto. In caso di , dovrebbe esserci un periodo di transizione di circa 18 mesi.

I criteri di adesione sollevano un’infinita serie di domande su fattori politici come la rideterminazione dei confini, Ma soprattutto economici come, la valuta e i livelli di deficit e, least but not last, la gestione del Brent.

Il Brent a chi va?

In un momento politico di rilevanza planetaria in cui sembrano risvegliarsi tendenza sostenibile, decrescita felice, ricorso alle rinnovabili, ecc., la costante ipocrisia con cui si predicano annunci futuribili contrasta la politica di mercato che vede sempre oil & gas al centro degli scambi.

Per ragioni geografiche il 90% del prodotto estrattivo appartiene alla Scozia (il 20 % si trova nelle acque delle isole Shetland, con il terminal di Sullom Voe, tra i più grandi d’Europa). In una Scozia indipendente, la produzione di petrolio sarebbe il 15% del Pil scozzese. Il governo della Sturgeon conta su circa di 38,7 miliardi di sterline fino al 2019 ma il Governo Inglese minimizza fino a 17,6 miliardi di sterline.

In caso di Indipendenza Scozzese, la Gran Bretagna perderebbe introiti fiscali miliardari. Infatti il regime fiscale inglese sul petrolio ha abolito i Contratti a Royalties e ha adottato un regime più remunerativo basato sul reddito delle società che estraggono idrocarburi (tra le altre British Petroleum, Eni, Shell, Exxon -Mobil).

Il petrolio Brent

L’espressione Brent Crude si riferisce al petrolio estratto dai giacimenti presenti nel Mare del Nord: esso infatti produce, sia il Brent, sia ulteriori tipologie quali il Forties, l’Oseberg e l’Ekofisk indicate con l’acronimo “BFOE“. Come noto, il petrolio presenta caratteristiche differenti a seconda dei siti geologici di estrazione. Al pari del WTI (West Texas Intermediate), il Brent BSFOE è considerato leggero (light) e sweet (a basso contenuto di zolfo) rispetto al petrolio di altri Paesi eurasiatici e arabi. Questa composizione leggera implica minori costi di raffinazione in benzina e gasolio. A ciò si associa il vantaggio della relativa facilità di trasporto, essendo estratto in mare. Per queste caratteristiche, il BFOE è assai richiesto e commercializzato nei mercati del greggio.

Tuttavia, a partire dal 2010 l’incremento della produzione di greggio ( shale oil e shale gas) negli Stati Uniti ha profondamente modificato il rapporto tra i prezzi di Brent e WTI. Gli USA, da massimi importatori e consumatori, si sono trasformati in esportatori, determinando con un overflowing di petrolio l’abbassamento del prezzo all’offerta. Ma la qualità dello shale non è competitiva con quella del Brent Crude che è sempre più richiesto dal mercato. Tale situazione ha portato a una netta “inversione di marcia”, rendendo a oggi il Brent Oil nettamente superiore per prezzo e valore rispetto alle altre tipologie prodotte. In conclusione il Brent, così come il WTI, è Premium Delivery nell’OPEC Basket, il paniere indicatore che stabilisce una media tra i prezzi di sette differenti tipi di petrolio estratti da Paesi quali Arabia Saudita, Algeria, Indonesia, Nigeria, Dubai, Venezuela e Messico e serve a monitorare l’andamento di domanda e offerta del mercato.

Ecco in pratica la differenza tra la Catalogna e la Scozia. La prima, che pur vanta il 20% del PIL iberico, è rimasta inceppata nella sua domanda di indipendenza, le motivazioni separatiste forse sono sembrate eccessive agli spagnoli, anche se le differenze etnico-linguistiche, di tradizione ma non di mercato sono consistenti. In Scozia, l’ondata separatista ha altre basi, oltre quella dell’antica diversità etnico-culturale dei Gaelici e, infatti, nel XXI secolo è fortemente avvantaggiata dalla crescente domanda di BFOE del mercato. Una motivazione economica che si traduce in scelte politiche di non poco conto per l’intera Europa, che è il mercato di riferimento per la Scozia.

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