di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

Sono sempre più numerosi e autorevoli gli ammonimenti sul rischio di una nuova crisi finanziaria globale. Lo è sicuramente quello dell’ex presidente della Federal Reserve americana, Alan Greenspan, che, in una recente intervista all’agenzia stampa Bloomberg, ha detto che «siamo nel mezzo di una bolla, non relativa ai prezzi delle azioni, ma a quelli delle obbligazioni delle imprese».

Secondo Greenspan, i tassi d’interesse di lungo periodo sono stati troppo bassi e per troppo tempo, per cui è ragionevole aspettarsi che quando cominceranno a salire lo faranno in tempi rapidi. E questo potrebbe fare esplodere la bolla. Un crollo dei prezzi delle obbligazioni «corporate» inevitabilmente porterebbe con sé anche quello dei titoli azionari.

«Stiamo entrando in una nuova fase dell’economia, una stagflation mai vista dal 1970», ha detto Greenspan. Si tratta, com’è noto, della micidiale combinazione tra la stagnazione dell’economia e l’inflazione sui prezzi. Come abbiamo evidenziato in passato, il debito obbligazionario delle imprese americane ammonta a 14 mila miliardi di dollari, 11 mila dei quali nel settore immobiliare. Il tasso d’insolvenza di questo settore, secondo la Moody’s, è salito al 5,6% nel giugno 2017, rispetto al 4,6% del settembre 2016. Il tasso d’insolvenza dell’intera bolla delle corporate bond è del 2,6%. Può sembrare contenuto, ma non lo è. È triplicato dal 2015!

Recenti ricerche mostrano che la quota delle imprese americane ed europee a rischio, con un tasso di copertura degli interessi pari all’1% o meno, è salita al 9%. Il che significa che gli utili sono appena sufficienti a pagare gli interessi sui debiti. Anche la Banca dei Regolamenti Internazionali chiama tali imprese «zombie company». Né può ignorarsi che nel sistema delle banche centrali è in corso una diatriba tra chi, come la Fed di Janet Yellen, propone di aumentare i tassi e chi, come la Bce di Mario Draghi, intende continuare con il Quantitative easing.

Questa mancanza di unità d’intenti, aggravata dal fatto che non si è approvata una riforma condivisa della finanza globale, lascia il mondo e l’economia in balia di azioni speculative con innegabili rischi di nuove crisi sistemiche. In Germania alcuni membri del Consiglio Economico del Governo tedesco temono che «un improvviso rialzo dei tassi d’interesse possa minacciare d’insolvenza le banche». Intanto alla Banca d’Inghilterra discutono dei crediti al consumo che l’anno scorso sono cresciuti più di sei volte rispetto all’andamento del reddito. Il settore inglese più a rischio sarebbe quello dell’auto. Oggi quattro auto su cinque sono acquistate a credito; nel 2006 il tasso era di1 a 5.

Jacques Attali, il più noto uomo dell’establishment francese, ieri eminenza grigia di Mitterrand e oggi, pur avendo lavorato anche con Sarkozy, sostenitore di Macron, dalle pagine dell’Express ammonisce che ignorare la crisi migratoria e soprattutto il rischio di una nuova crisi economica e finanziaria globale non garantisce che presto o tardi esse non presenteranno il conto. Egli solleva anzitutto il problema del debito mondiale. Quello pubblico e privato delle 44 più importanti economie mondiali è passato dal 190% del Pil del 2007 al 235% di oggi. Non crede, e non ci sembra abbia torto, che la crescita dell’economia e l’inflazione basteranno a contenere e a ridurre il debito.

Attali, inoltre, rileva che il valore delle azioni quotate in borsa è sproporzionato e che le operazioni di fusione e acquisizione di imprese sono cresciute a dismisura. Sostiene che «prima o poi, le banche centrali cesseranno di comportarsi come dei Madoff legalizzati. Dovranno ridurre il flusso di denaro gratuito che stanno dando alle banche. Ciò farà salire i tassi d’interesse e i governi e le imprese dovranno tagliare le spese o finiranno in bancarotta». Bernard Madoff è lo speculatore americano condannato a 150 anni di carcere per aver truffato 65 miliardi di dollari.

Attali azzarda una proposta, che non possiamo non condividere. Egli dice che «sarebbe il momento di pensare collettivamente, con calma, a ridurre l’indebitamento e a mettere in atto delle vere riforme finanziarie da applicare a livello internazionale. Questo è il compito del G20. I governi dovrebbero occuparsi di questo, se hanno veramente a cuore l’interesse delle generazioni future. Naturalmente non si farà. Soltanto degli ottimisti lucidi potranno riuscirci». Un’amara conclusione, ma purtroppo realistica.

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